Maria Tugnoli, bolognese, gestisce il bar La goccia d’oro al quartiere Bolognina.

Allora, quando la cosa è iniziata, eravamo all’oscuro, eravamo ancora un po’ acerbe, forse meno attente al problema, ma ugualmente abbiamo fatto delle denunce alla questura perché intuivamo che c’era del movimento non giusto. Insomma, non siamo rimaste passive. Ma un giorno è venuto un responsabile del quartiere a dirmi che stavano raccogliendo le firme per farci chiudere e ci è crollato il mondo addosso.
Da allora, da due anni a questa parte, sono successe cose terribili, sono frastornata, mortificata, angustiata. Ormai il quartiere Bolognina, e tutte le famiglie di queste case qui attorno, ce l’hanno a morte con noi. La nostra vita è completamente scombussolata, al punto da non aver più voglia di vestirsi, di pranzare regolarmente, di fare cene. Io ho sempre avuto un bellissimo carattere, ma me ne accorgo che non sono più la Maria di una volta. Ho un’amica, una che tiene un chiosco, che me lo ripete ogni volta che mi fermo da lei: “Non sei più tu”. Già, ma l’essere accusata da tutti, l’essere stata emarginata per colpe che non si hanno, sapere che considerano te e tua figlia brutte persone, delle poco di buono, mi ha disturbata molto... Dicevano che il nostro bar era la base dello spaccio, sono arrivati a dire che mia figlia coltivava la prostituzione, che dava scandalo ai bambini della scuola che è qui vicino.
Oh sì, hanno raccolto un’infinità di firme e sono stati molto cattivi con noi. Fatto sta che dopo le firme, credo ne abbiano raccolte un migliaio, hanno chiamato mia figlia in questura e le hanno intimato di chiudere per un mese. Quando abbiamo riaperto, gli italiani, a parte quattro pensionati affezionati, non sono più venuti e loro si sono presi tutto il bar. Ora la gente, quando passa di qua, fa l’arco, attraversa la strada per un tratto e poi rientra. Alla mattina passano le mamme e si vede benissimo che i bambini sono stati impauriti perché tirano, perché se ai bambini dici di non guardare è proprio il momento che vogliono farlo.
Addirittura fanno finta di non vederci, non ci salutano più. Siamo andate al funerale di un’amica comune, io ho cercato di salutare e mi hanno girato le spalle. Gente che è venuta qua per vent’ anni e più!

L’altro giorno è venuta una signora a dire che c’erano due vomiti. “Cosa vuole da me, debbo venire a pulirli io? Lei telefoni alla nettezza urbana e dica che venga lo spazzino a pulire”. E lei: “Sa cosa le dico? Che dopo che c’è lei questa strada è diventata un ghetto”. Ma prima dove credeva di essere, a Hollywood?
Sembra che la colpa della droga sia nostra perché c’è questo locale. Ma se non ci fosse La Goccia d’oro ci sarebbe il bar della strada accanto. Prima di scagliarci contro persone che lavorano onestamente bisognerebbe che guardassimo la nostra società, i nostri giovani che sono ammalati perché hanno avuto o troppo benessere o famiglie sfasciate o perché sono persone deboli. Il mercato della droga è forte perché un’infinità di giovani, per vari motivi, si abbandona. Mi sono chiesta diverse volte, quando lo spaccio era in mano agli italiani, quando il Fondo Comini, il giardino, era pieno di siringhe, perché la gente non inveisse. Forse perchè erano italiani e si temeva che ci fosse il figlio, il cugino, il nipote? Ma allora sono le persone che danno fastidio o è lo spaccio? Vorrei capire.
E poi chiedo: che colpa ho, se questi che vengono sono spacciatori? Posso forse chiedere se hanno i documenti, se sono in regola, che cosa hanno in tasca? Io non sono un tutore dell’ordine, io cerco di tenere l’ordine dentro questo locale: che consumino, che si comportino bene, e che poi smammino.
E non posso rifiutarmi di prenderli visto che loro pagano; non posso, come mi ha sempre detto la polizia, perché questo è un locale pubblico. Un giorno ci siamo rifiutate di far entrare un tossico che aveva cominciato a fare confusione lì fuori, abbiamo chiamato la polizia e sapete cosa ci hanno detto? “Non faccia più una cosa del genere, lo prenda dentro, lo faccia consumare così dopo se ne va via, altrimenti potrebbe farle del male, romperle i vetri. Non faccia più una cosa del genere”. E allora? Se poi queste persone si comportano male dopo che ho chiuso è giusto incolpare noi? Adesso tutto quello che succede in questo circondario è colpa nostra. Un’auto strisciata, le gomme tagliate, un giubbotto sparito dalle macchine... Ma posso essere l’angelo custode di questa gente? ...[continua]

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