Anna Maria Gentili insegna Storia ed Istituzioni Politiche dell’Africa Contemporanea all’Università di Bologna.

Tu che da decenni studi la situazione di tanti paesi africani sembri ridimensionare il problema delle etnie che invece nell’idea corrente che si ha dell’Africa sembra essere il problema dei problemi. Puoi spiegarci?
Io non dico che le etnie e i conflitti etnici non esistono, dico solo che quando esistono, quando si esprimono, sono comunque il risultato di una storia, di un’interazione e che quindi per definizione sono etnie, identità etniche e conflitti etnici mutevoli, prodotto della storia. Così come le nomenclature etniche. Tutti i gruppi etnici che conosciamo oggi non erano noti nell’800, almeno non coi nomi con cui li conosciamo oggi. Quei nomi sono stati inventati, sovrapposti, oppure adottati o espressi nella seconda metà dell’800, con la spartizione coloniale e la discesa sull’Africa delle scienze sociali europee. E’ l’etnografia europea che cataloga, gerarchizza, sistema le popolazioni africane secondo criteri di classificazione linguistica e sociale tipiche, appunto, delle scienze europee. L’etnografia è storia, prima di tutto, della presenza e della rappresentazione europea dell’Africa, più che dell’Africa in sé.
In realtà quando alla fine dell’800 gli europei si spartiscono l’Africa si trovano di fronte a un magma molto complesso, frutto di interazioni di popoli, di culture, di lingue, di rapporti economici che dovevano essere "sistemati" sotto il profilo scientifico, della ricerca etnografica e antropologica, ma soprattutto razionalizzati ai fini dell’amministrazione coloniale.
Lo stato coloniale, pur non essendo né democratico, né rappresentativo, è il primo tipo di stato moderno che viene impiantato in Africa. Quindi è uno stato con confini ben precisi all’interno dei quali viene messo in piedi un reticolato amministrativo che ha dei significati, che acquista dei nomi. Se le differenze etniche non vengono inventate in sé, esse vengono condizionate, rimodellate, anche per iniziativa dei gruppi etnici stessi, da questa esigenza amministrativa e poi dall’interazione fra colonizzazione e colonizzati.
E’ uscito di recente un bellissimo libro di Claudine Vidal, antropologa francese, La sociologie de passions, che si occupa, fra l’altro, del Ruanda. E’ un’area da sempre di grande interesse per molti antropologi di area francofona perché i diversi regni interlacustri precoloniali del centro dell’Africa, oltre a possedere sistemi monarchici estremamente complessi, furono toccati dagli europei solamente alla fine dell’800 e quindi mantennero più a lungo di altri sistemi africani forme originarie di autonomia. Ebbene, Claudine Vidal, riproponendo la discussione sul fatto etnico in Ruanda, lo ricostruisce come fatto storico, mettendo in evidenza come la gerarchia di potere del regno, che vedeva al vertice una dinastia e dei lignaggi aristocratici tutsi, si trasformi solo in epoca coloniale in una differenziazione razziale marcata e questo a causa della politique de races che era la politica amministrativa applicata prima dai tedeschi e poi dai belgi e fondata sull’individuazione di una razza superiore (i tutsi) che gestiva il potere tradizionale.
Questa differenziazione razziale e etnica diventò patrimonio culturale delle élites colte che poi vennero scalzate dal potere con gli eventi dell’indipendenza. E successivamente la gestione monolitica del potere da parte del partito di maggioranza (Hutu) venne sempre interpretata nei termini di conflitto etnico.
Mettendo a confronto una fonte colta, quella dello storico ruandese Alexis Kagame, e una fonte orale, il racconto di una donna molto anziana che ricorda tutte le vicende della colonizzazione, Claudine Vidal dimostra molto chiaramente che il discorso del conflitto etnico, della differenziazione etnica irrimediabile, è un discorso dell’élite, della cultura, è un discorso del politico, ma non è, se non in parte e nei momenti di conflitto più duro, un discorso generalizzato presso le popolazioni. D’altra parte è quello che tutti notano andando in Ruanda e in Burundi: nella stragrande maggioranza tutsi e hutu vivono negli stessi villaggi, spesso nello stesso modo, non esistono fra di loro sostanziali differenze di status e di ricchezza, né linguistiche, né culturali, spesso neanche di aspetto come si pensa. Solo nel momento del conflitto violento avviene lo schieramento da una parte e dall’altra, ma il conflitto ha sempre radici p ...[continua]

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