Prima dell’ultima edizione del Festival di Santarcangelo, ha fatto scandalo la vicenda di un seminario sull’es-perienza del teatro in carcere, che si sarebbe occupato anche di uno spettacolo realizzato nella sezione di massima sicurezza del carcere di Livorno, alla quale aveva preso parte Mario Tuti. Vuoi raccontarci come è andata?
Nel carcere di Livorno è detenuto Mario Tuti, che lì è stato trasferito dopo una precedente permanenza a Voghera. Tuti aveva partecipato a un lavoro teatrale, in occasione del quale era nato il collettivo “teatro/carcere”, che, con l’aiuto e la partecipazione di operatori esterni, tra cui il Teatro del Magopovero di Asti e altri operatori carcerari, aveva avuto diverse esperienze teatrali, consistite nell’allestimento di spettacoli, a volte basati su testi dei detenuti, a volte prendendo spunto da testi “esterni” o da materiali di fiction, come nel caso del romanzo “Il maratoneta”. Questi spettacoli venivano mostrati sia ai detenuti del carcere sia a invitati provenienti dall’esterno, e venivano realizzati dei video che poi hanno avuto regolare circolazione. Uno di questi video, quello appunto ispirato al “Maratoneta”, è stato mostrato in diverse occasioni. “Il maratoneta” è il monologo di un carcerato invitato dal direttore a partecipare a una corsa e a vincerla, per l’orgoglio del carcere, per dimostrare la sua funzione rieducativa e che, quando alla fine sta per vincere, si accorge di averlo fatto solo per ottenere alcuni benefici e quindi di essere caduto nella trappola del carcere. E rinuncia alla vittoria.
Ecco, “Il maratoneta” era interpretato a turno da diversi detenuti e tra questi vi era anche Mario Tuti, oltre naturalmente a altri di diversa provenienza, sia dal cosiddetto “terrorismo rosso e nero”, sia dalla criminalità comune.
L’anno scorso Tuti ci ha scritto dal carcere di Livorno dicendo che voleva continuare questa esperienza, ovviamene nelle mutate condizioni, e quindi con i nuovi compagni di questa sezione speciale, dei quali solamente uno, (un palestinese, che poi dopo qualche tempo è stato trasferito), era interessato al teatro, e si stava laureando al DAMS. In realtà Tuti scrisse, chiedendo aiuto, materiali, ecc. a varie compagnie e teatri italiani, ma nessuno gli rispose, perché Tuti è un nome che impressiona e, nell’immaginario degli italiani, è un simbolo del male, in un certo senso.
Io invece gli ho riposto, a nome del Festival, e ho ritenuto di doverlo aiutare a realizzare il lavoro teatrale in carcere.
L’obiettivo, dopo varie discussioni, sempre epistolari, si è focalizzato su un testo, “Assassino, speranza delle donne” di Oskar Kokoschka, ebreo, espressionista, un testo del 1908. Su di esso è stata operata una rielaborazione abbastanza libera.
Per quanto riguarda l’allestimento, Tuti e gli altri detenuti hanno richiesto la collaborazione di operatori esterni. Abbiamo individuato questi operatori nel gruppo che fa capo a Andrea Mancini, che sta a San Miniato, vicino a Livorno, soprattutto perché Andrea Mancini è un uomo di teatro che ha lavorato in situazioni particolari e difficili, anche se non carcerarie, come i manicomi, ecc...
Si è creato questo contatto operativo, sono stati ottenuti tutti i permessi del caso, anche se l’iter è molto complicato, e si è svolto questo lavoro che ha visto insieme nelle piccole sale di questo carcere, per diversi mesi, un paio di giorni la settimana, un gruppetto di detenuti, il cui numero è andato variando nel corso del tempo per mille traversie, trasferimenti, rinunce, forme di protesta più o meno sotterranea: (il mondo carcerario è estremamente stratificato e complesso). Andrea Mancini, che dirigeva il lavoro, un regista video, che avrebbe dovuto riprende l’esperienza, e un gruppo teatrale di Livorno, che si chiama Pravda, un gruppo di giovani che credo si possano definire cattolici di sinistra. Questo lavoro è diventato uno spettacolo, cioè un’opera compiuta, che vedeva in scena come attori Mario Tuti, Mimì Arpaia e Ahmad Sereya insieme a Letizia Matteucci, attrice professionista che ha avuto esperienze soprattutto con il Living Theatre e l’underground newyorkese di nuovo in Italia da pochi anni, e le ragazze e i ragazzi di questo gruppo Pravda.
Il testo di Kokoschka, che è stato ampiamente rielaborato da Mario Tuti con interpolazioni da Cèline, Brasillach, Genèt, Dostoyevskj ed altri autori, verte sul rapporto fra uomo e donna, maschile e femminile, rapporto che si presenta in termini particol ...[continua]

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