Tu vai molto spesso nella ex Jugoslavia, di cosa ti occupi precisamente?
Faccio parte dell’Associazione Per La Pace ed avevo partecipato, durante la Carovana Per La Pace, ad un’iniziativa dei giornalisti indipendenti di Novi Sad, in Vojvodina, i quali tutte le sere alle sette e mezza aprivano la finestra della loro sede e, con due microfoni e un faro, leggevano un notiziario alternativo, intervistando poi un ospite. Sotto la finestra ad ascoltare c’era molta gente e da quello mi sono reso conto che c’era una forte opposizione alla guerra. Lo scorso novembre ci sono tornato per capire di più e mi sono reso conto della massiccia presenza di profughi di cui da noi non si sapeva niente, perché qui si parlava solo di quelli che scappavano in Croazia e non di quelli che andavano dall’altra parte. E’ stato allora che ho lanciato un’iniziativa per questi profughi, purtroppo ancora unica. Noi raccogliamo fondi e li dividiamo in parti uguali fra quelli che sono fuggiti verso oriente e quelli che sono fuggiti verso occidente. Non aiutiamo nessuna nazionalità particolare, visto che i profughi, anche quelli scappati a est, sono di tutte le nazionalità. Raccogliamo fondi perché è impensabile portare materiale fino alla Vojvodina e una volta ogni due mesi vado a Novi Sad col ricavato della raccolta, poi con la Croce Rossa di Novi Sad decidiamo cosa comprare sul posto e lo distri­buiamo ai profughi. A Novi Sad ci sono circa 35.000 profughi, tutti sistemati presso delle famiglie, tranne alcuni bambini che sono in un villaggio di SOS Bambino, un’organizzazione internazionale. Essendo l’unico che porta aiuti laggiù ho la possibilità di parlare in pubblico, facendo così sentire la voce dei pacifisti.
Quando, in gennaio, ho pre­sentato l’iniziativa erano molto stupiti che collaborassero ad essa anche dei croati, cioè i pacifisti di Fiume. A marzo i pacifisti di Novi Sad hanno deciso che, per quella volta, i fondi sarebbero stati portati all’ospedale pediatrico di Sarajevo. Quando, in seguito all’arrivo a Sarajevo dei medicinali comprati a Novi Sad, c’è stata la conferenza stampa e ho detto che l’iniziativa era dei pacifisti di Novi Sad, il giornalista non voleva credere che dei serbi avessero fatto qual­cosa del genere, era convinto che tutti i serbi odiassero i bosniaci. E’ anche in questo modo che cerchiamo di combat­tere la logica imposta dalla propaganda. Dall’inizio del conflitto sono stato nell’ex Jugoslavia 13 volte, per un totale di 10 settimane. Ho parlato un po’ con tutti, dai sindaci ai ministri delle varie parti, ma soprattutto ho parlato con la gente e dopo il quinto viaggio ho iniziato a farmi un’idea della situazione: questa non è tanto una guerra fra naziona­lità, ma una guerra fra gruppi di potere alla cui base c’è una logica nazista. E’ la logica delle repubbliche fondate sulla nazione pura e siccome nessuno, ovviamente, era disposto a fare le valigie e lasciare casa, famiglia e amici, era neces­saria una guerra di questo tipo, rivolta soprattutto a terrorizzare la popolazione civile.
Quelli che sparano però sono molti. E’ difficile credere che sia una guerra solo manovrata dall’alto, senza un sentimento favorevole in grosse parti delle varie popolazioni.
Fra quelli che sparano, oltre agli eserciti dei vari governi, ci sono le bande dei volontari ustascia e cetnici e i merce­nari che vengono dal resto del mondo, soprattutto dalla Germania.
Questi combattono con chi paga meglio, è per que­sto che le tregue falliscono. Anche se si mettono daccordo i comandanti degli eserciti ufficiali, ci sono le bande irrego­lari che nessuno riesce a controllare; sembra che attualmente in Bosnia ci siano 18 eserciti.
Le divisione nazionalisti­che si stanno comunque diffondendo anche fra la popolazione perché con una propaganda efficace si riesce a costruire l’odio fra le nazionalità e in certe zone ci sono riusciti molto bene. La propaganda non è stata certo improvvisata, quella croata, per esempio, è stata gestita da una azienda pubblicitaria di Vienna. Per far capire la forza della propa­ganda basti questo esempio. Vicino a Zagabria, in Slavonia occidentale, dove la guerra vera e propria non è arrivata, a causa dell’influenza della televisione sono saltati tutti i matrimoni misti, mentre in Slavonia orientale, dove a causa della guerra mancava l’elettricità e quindi non arrivava la televisione, c’è ancora solidarietà fra serbi e croati. Fra gli sloveni non c’era nazionalismo; il caso della Slovenia è stato ...[continua]

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