All’indomani dell’introduzione del cosiddetto decreto antimafia  abbiamo invitato a discuterne tre addetti ai lavori, con l’intento di chiarire meglio i termini del problema e di capire qual è il punto di vista di chi, da quel decreto, vede modificate, in meglio o in peggio, le condizioni del proprio lavoro. Ciò ci pare particolarmente interessante perchè l’oggetto  del lavoro di un magistrato, di un avvocato, di un funzionario di polizia alla fin fine è  la nostra vita quotidiana e il suo livello di libertà e di sicurezza.

Ci son state molte polemiche a proposito del cosiddetto decreto antimafia proposto dal ministro Martelli all’indomani delle stragi di Palermo. E’ difficile per la gente co­mune capire bene i termini delle diverse posizioni e questo mi sembra pericolosissimo, perchè quando non si capisce, e tuttavia è chiaro che ci si trova in un’emergenza, si diventa disponi­bili ad appoggiare iniziative apparentemente efficaci, ma che possono essere solo demagogi­che. Voi siete “addetti ai lavori” e vivete questa situazione in tre trincee diverse. Aiutateci a capire.

Sorgi:  Come magistrato e come persona che riflette sul fenomeno ho molti dubbi che con un decreto si possano ot­tenere dei risultati. Con un decreto si può fare politica, si può lanciare un messaggio, si può far vedere che lo stato in­tende rispondere in maniera forte o meno forte. Dico questo perchè alcuni punti del decreto mi stanno bene, anche se a mio modo di vedere non hanno nulla a che fare con la “risposta alla mafia”, bensì con la necessità di sanare alcuni aspetti del nuovo codice di procedura penale,  altri aspetti, invece, mi sembrano, sinceramente, solo demagogici. Quindi: come “messaggio” il decreto approvato può avere un senso, come strumento operativo non credo che darà ri­sultati positivi. Fra l’altro, non posso immaginare che la Corte Costituzionale dichiari la legittimità di una normativa che prevede due processi, uno per i mafiosi e uno per gli altri cittadini. E quindi questo, che è uno dei dati fondamen­tali del decreto, cadrà molto presto.
Roppo: Lo strumento col quale sono state adottate modifiche al codice di procedura penale è sbagliato. Vale a dire: esiste una commissione che è preposta allo studio di questi problemi, proprio per la loro complessità e delicatezza, e non si capisce perchè debba essere scavalcata, pur nella scia di fatti tragici, con provvedimenti d’urgenza in un campo in cui la fretta può essere cattiva consigliera. Se entriamo nel merito del decreto mi pare che, già nel titolo, “misure antimafia”, ci sia della demagogia. Mi chiedo: il processo penale che funzione ha? Contrariamente a quello che s’è vo­luto far credere non ha la funzione di combattere qualcosa, fosse anche così importante come la mafia, ma è lo stru­mento per accertare la verità, che va raggiunta senza ledere i diritti del cittadino che viene accusato. Questo è un punto molto importante e non si deve accettare che si faccia confusione. I due elementi che compongono il processo penale sono: accertamento della verità e garanzia del cittadino. Il processo non ha funzioni di prevenzione, questa è una fun­zione che viene svolta in altro modo e con altri strumenti, non spetta alla magistratura giudicante “battere la mafia”. Per questi motivi gli avvocati italiani, al di là delle differenti posizioni, si sono schierati contro il decreto. Non si può accettare che si tenti di far credere agli italiani che queste misure serviranno a battere la mafia.
De Leonardis: La mia posizione naturalmente è diversa. A mio parere c’è stata, al di là dell’esame nello specifico delle singole norme che poi saranno sottoposte al vaglio della Corte Costituzionale e quindi non è detto che non saranno oggetto di ulteriori revisioni da parte del legislatore, una svolta culturale rispetto al fenomeno della criminalità orga­nizzata. Mentre prima, tutto sommato, ogni crimine era considerato allo stesso modo, ora ci si è resi conto che gli strumenti utilizzabili contro la criminalità comune non danno risultati contro quella organizzata. Si sono scelti quindi nuovi strumenti, che sono, da una parte, il potenziamento delle norme processuali, dall’altra il potenziamento dei soggetti deputati a svolgere le indagini, in primo luogo le forze di polizia e il loro coordinamento, di cui si parla da dieci anni ma finora con scarsi risultati. Mi sembra importante la decisione di istituire la DIA, la cosiddetta FBI ita­liana, cui viene attribuita una serie di p ...[continua]

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