Carlo Ginzburg, storico, attualmente docente presso il dipartimento di storia dell’Università di California, Los Angeles (UCLA), è l’autore del libro “Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri” (Einaudi).

Da dove nasce “Il giudice e lo storico”?

Questo libro che ho scritto nasce dall’incontro di due motivi, come spiego nell’introduzione. C’è un motivo di ordine personale, cioè la mia amicizia molto profonda e che risale ad un tempo lontano, con Adriano Sofri (gli altri imputati non li conoscevo, li ho conosciuti in maniera superficiale dopo). Quindi il motivo personale era di cercare di fare qu­alcosa per aiutare Adriano della cui innocenza ero da sempre convinto, dal momento in cui sono cominciate queste ac­cuse.
Il secondo motivo era collegato al mio lavoro di storico, cioè all’interesse, anche questo antico, ma che si è intensifi­cato in questi anni, per una serie di temi, in particolare i giudizi, le prove, le testimonianze, temi su cui ho lavorato e sto lavorando. Ora, come si sono intrecciati questi motivi, quello personale e quello non personale? Si sono intrec­ciati nel senso che fin dal primo momento non aveva senso che io scrivessi qualcosa per dire che conoscendo Sofri le accuse nei suoi confronti mi sembravano completamente assurde e infondate, perchè questa era una convinzione per­sonale che non interessava nessuno. Quindi quello che potevo fare era cercare di utilizzare la mia competenza di sto­rico per leggere gli atti del processo, cioè dell’istruttoria e poi i dibattimenti. Questo perchè nel mio lavoro di storico mi ero occupato a lungo di processi molto più antichi, processi di inquisizione che vertevano soprattutto su casi di stregoneria. Ora l’idea che questo processo, cioè il processo contro Sofri, Bompressi, Pietrostefani e Marino, vorrei mettere proprio tutti, anche Marino, sia paragonabile ad un processo di stregoneria, è un’idea che non ho avuto io per primo, l’ha avuta un mio amico, anche lui storico, Adriano Prosperi che insegna a Pisa e che ha studiato a Pisa con me e con Adriano. Prosperi aveva scritto una lettera, firmata da un gruppo di persone fra cui anch’io, inviata a vari giornali -pubblicata solo da Unità e Manifesto- in cui paragonava questo processo ad un processo di stregoneria. Nel leggere i documenti del processo, mi sono convinto che questa analogia aveva un fondamento, molto specifico, nel senso che è un caso, questo, in cui c’è la parola di un imputato che accusa sè e gli altri, proprio come nei processi di stregoneria dove uomini e donne accusavano se stessi ed altri di avere commesso certe cose, ad esempio di aver parte­cipato a convegni in cui facevano omaggi al diavolo dopo avere volato, cioè una serie di eventi in quel caso impossi­bili.  Invece con Marino siamo di fronte ad eventi possibili (e questa è la differenza), mentre l’analogia è nel fatto che nell’un caso e nell’altro non abbiamo prove esterne che sostanzino le autoaccuse della presunta strega o stregone o del presunto partecipante all’uccisione di Calabresi. Dico presunto perchè esiste, nel nostro sistema giudiziario, una pre­sunzione di innocenza finchè non esiste la prova della colpevolezza. Nel caso di Marino esiste solo l’autoaccusa. Ho visto una ricerca statistica in cui si dice (ma non posso dare dati più precisi) che nei processi in cui si parte da un’autoaccusa esiste in realtà un’alta percentuale di innocenza. Cioè queste accuse non si riesce a provarle. L’esigenza di trovare un riscontro esterno alle autoaccuse (di alcuni secoli fa nei processi a streghe o stregoni, oggi nel caso di Marino), era condivisa dagli inquisitori e dai giudici odierni. Ho trovato un documento che circolava negli ambienti dell’Inquisizione, in cui i giudici si dicono, agli inizi del ‘600: “Questi processi di stregoneria finora sono stati fatti male, in molti casi non si sono cercate le prove esterne a queste autoaccuse, bisogna trovarle”. Ora questa esigenza, in teoria, l’hanno sentita anche i giudici di Sofri, cioè hanno cercato fino ad un certo punto delle prove esterne e a mio parere non le hanno trovate. Io ho letto minutamente queste migliaia di pagine e devo dire che emerge chiarissima­mente che, al di là della parola di Marino, non c’è nulla. Su questa base non è possibile condannare  le persone accu­sate da Marino a 22 anni e Marino a 11 con lo sconto.
Anche se non si fossero addensate su questo processo  ombre molto pesanti, non si vede perchè si debba dare ra ...[continua]

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