Il 18 giugno si è tenuto a Modena, presso la Facoltà di Economia "Marco Biagi”, un convegno dal titolo "Vittorio Foa professore: nelle università italiane e americane, nelle scuole serali, nei corsi delle 150 ore”. I testi degli altri interventi, assieme a documenti e interviste a Vittorio Foa, sono consultabili al sito: www.vittoriofoa.unimore.it

Il mio intervento è più un ricordo di Vittorio Foa, una testimonianza su ciò che credo di aver appreso da lui, che il racconto delle lezioni da lui tenute come professore a contratto alla Università di Torino, come prevede il programma. Le lezioni si tenevano, come avviene quasi sempre, in orario di lavoro. Non sempre riuscivo a liberarmi. Perciò ne ho ascoltate alcune; di altre ho parlato con chi le aveva ascoltate o con lui. Non ho trovato fonti scritte. Citerò ciò che ricordo, presumo proprio perché si trattava di tesi insolite, ma non parlerò tanto delle lezioni quanto dell’importanza dell’esempio di Vittorio, soprattutto oggi, per me e, credo, per noi tutti.
Ma non si può ricordare, oggi, Vittorio Foa, come altri della sua generazione di antifascisti, resistenti, costituenti, liberali e socialisti, senza partire dalla constatazione che loro avevano vinto, nel ’45; che le loro idee, le loro parole, sono rimaste importanti nel mezzo secolo successivo; noi abbiamo clamorosamente perso. Non nel senso che abbiamo perso varie elezioni, che sono cose che capitano, ma nel senso che abbiamo visto mutare situazioni sociali centrali per la democrazia, mutare radicalmente il significato delle parole più importanti per la vita politica e civile, rovesciare alcuni principi fondamentali. Non basta ricordare, bisogna far fronte; ritrovare, reinventare le loro idee.
E’ avvenuto uno scandalo sociale: chi vota, chi ha il diritto di voto, non lavora, perché è pensionato; chi lavora non vota, perché è straniero. Non si tratta di una condizione generale; ma è una condizione tendenziale, crescente. Basti pensare al numero di ultrasessantenni oggi e tra dieci anni e al numero di stranieri in età di lavoro, oggi e, se il paese non crolla, tra dieci anni: in Veneto la previsione è di uno straniero su tre tra i trentenni e i quarantenni, oltre che tra i nuovi nati.
Ancora più grave lo slittamento del significato delle parole. E’ stato scritto, da Marc Bloch: "Per la disperazione degli storici qualche volta gli uomini dimenticano di cambiare le parole quando cambiano i costumi”. Pensate a che cosa vuol dire oggi la parola libertà. Siamo passati da "giustizia e libertà”, dai "martiri dell’eterna libertà”, dai monumenti alla libertà, come quello che c’è, a Modena, a poche centinaia di metri da qui, per i moti del 1821 e ’31, al Popolo della libertà, alla proposta di cambiare l’articolo 41 della Costituzione perché limiterebbe la libertà d’impresa nel paese con la più alta percentuale di imprese in Europa, forse al mondo. Pensate a cosa vuol dire oggi liberale. Gallino dice che preferisce dire non neoliberista, come dicono i più, ma neoliberale, perché non si tratta solo di una teoria economica, traducendo in sostanza neocon con neolib, secondo me giustamente, perché si tratta di due movimenti di destra eversiva, coevi e, in sostanza, equivalenti, salvo il nome.
Qualche volta non si è trattato di uno slittamento di significato delle parole, ma di un rovesciamento di principi. Oggi è normale sentire che il problema economico maggiore è l’alto costo del lavoro; i salari troppo alti. I salari, per far crescere l’economia, devono essere bassi. Quanto bassi? Più bassi, altrimenti non possiamo fregare i polacchi e i cinesi.
I tre mutamenti ci hanno travolti, divisi. Ci hanno cancellati. Nelle parole e nell’esempio, nei dubbi, nei mutamenti, di Vittorio dovremmo cercare non una tranquilla conferma ma uno stimolo, forse una sferza.

L’esempio, la tenuta morale, la solidarietà
Che Vittorio pensasse che l’esempio conta più delle teorie e delle ideologie, che bisogna essere sul campo, schierarsi, partecipare ai movimenti reali, essere solidali con i compagni, è una ovvietà. Forse non c’è neppure bisogno di dimostrarlo.
Se si vogliono documenti scritti c’è l’intera parte di Vittorio di Le parole della politica, scritto con la Montevecchi; varie delle Lettere dalla giovinezza, scritte più di 70 anni prima; in mezzo il William Morris dell’inizio di la Gerusalemme rimandata, e infinite conversazioni. Persino gli aneddoti su di lui. Federico Stame, che veniva dai giovani ...[continua]

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