Anno per anno, lo Stato alienava una parte di quel patrimonio secolare che comprendeva possedimenti appartenenti all’antico demanio e altri ereditati dai conventi, per far fronte ai suoi obblighi e coprire l’enorme vuoto del tesoro provocato dalle dilapidazioni di cui parleremo fra poco. Tale saccheggio del patrimonio nazionale è stato compiuto nello stesso spirito che presiedette alla liquidazione dei possedimenti comunali e dei beni conventuali, cioè ad esclusivo vantaggio del ceto capitalista. Passando sopra alle raccomandazioni, d’altra parte assai platoniche, della Camera dei deputati, il governo ha fermato le vendite con semplici ordinanze ministeriali, ripartendo i terreni da vendere in latifondi anziché in piccole fattorie. Il prezzo dell’incanto fu messo in rapporto soltanto alla rendita attuale, minima questa a causa dell’abbandono in cui la maggior parte di quei terreni erano stati lasciati. I complotti degli accaparratori, il favoritismo ministeriale e gli intrighi orditi contro le autorità preposte alle operazioni di vendita anche da parte di personaggi influenti, hanno portato al colmo quel pasticcio. Il ministro delle Finanze confessava alla Camera, il 20 gennaio 1868 "che, visto il modo in cui era stato fatto l’estimo, questo doveva necessariamente essere ovunque inferiore al vero”, e il Nicotera, nella seduta del 19 giugno successivo, diceva: "Potrei citare numerosi episodi: potrei citarne alcuni capitati anche in questi giorni, boschi venduti che valgono almeno il doppio del prezzo a cui sono stati assegnati... a deputati ministeriali”. Egli lamentava insomma che il governo non avesse avuto il minimo riguardo per lui, deputato di opposizione. E non è ancor tutto. Oltre le alienazioni vere e proprie, ci sono stati i riscatti dei canoni enfiteutici verso lo Stato o altri enti morali, per esempio quelli accordati ai censitari del Tavoliere delle Puglie e della Sila in Calabria. A costoro fu concesso d’essere esonerati mediante titoli di rendita accettati al loro valore nominale. Solo nel tavoliere delle Puglie, 200.000 ettari di terreno divennero proprietà esclusiva e definitiva dei grandi signori della Capitanata. Ovunque il governo scacciò le popolazioni dai pubblici demani, ritogliendo loro diritti secolari di legnatico, erbatico, pascolo, ecc. Il bosco di Montello (provincia di Treviso) d’una estensione di 7.000 ettari, apparteneva nel 1866 completamente allo Stato. I governi precedenti si erano preoccupati di conservarlo. La Repubblica Veneziana ne traeva tutto il legname necessario alla sua flotta. Oggi, dopo 17 anni di camorre d’ogni genere, protette in alto e architettate con astuzia, esso è completamente devastato. Un patrimonio di diversi milioni è stato così scialacquato e un’intera popolazione che esso, bene o male, alimentava, è stata ridotta nell’assoluta indigenza. Il governo inviò per tre volte in un anno truppe a piedi e a cavallo per scacciare la popolazione che andava a raccogliere legna e frutta; un Minosse locale giudicava i colpevoli e, per far più presto, aveva fatto stampare citazioni, processi verbali e sentenze. Nel gennaio 1885 si dovevano eseguire 17.000 condanne: il governo fece intravvedere la possibilità d’una amnistia; quando tutti avevano ripreso fiducia, mandò un reggimento a fare arresti in massa. D’altra parte agli ex-baroni sono stati rimborsati in oro contante i diritti abusivi, e le decime feudali che, essendo pagate in natura, avevano un valore variabile e incerto, sono state convertite obbligatoriamente in una rendita fissa annuale, valutata secondo la produttività dei fondi (legge 8 maggio 1879).
Così demani comunali, patrimoni ecclesiastici, proprietà statali, diritti delle popolazioni, una ricchezza enorme veniva liquidata a profitto della nascente borghesia e la liquidazione non era ancora completa. Restava il patrimonio immenso delle opere pie: si è esitato a lungo a convertirlo, per non so quale resto di pudore. Tuttavia ogni tanto, come durante i temporali dei primi giorni di primavera e degli ultimi d’autunno, cadeva fitta e improvvisa nelle colonne della "Gazzetta Ufficiale” una pioggia di decreti regi monotoni e laconici, che accordavano ai comuni delle provincie meridionali facoltà di trasformare i Monti Frumentari in Casse di Risparmio o di Credito. Finalmente, quando l’opera di trasformazione era già inoltrata e mentre, in attesa di convertire il capitale delle opere pie, se ne erano convertiti i redditi a profitto di amministr ...[continua]

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