3 novembre 2009. Il Crocefisso
Cosicché il Crocefisso sarebbe un simbolo universale, un valore etico, una radice culturale… Forse chi l’ha detto dovrebbe andarsi a confessare. Per il secondo, certo.

4 novembre 2009. Gianfranco Fini
Quand’è che Fini ha cominciato ad andare così bene? Quand’è che ha cominciato a conquistarsi la fiducia di tanta parte del paese?
Quando andò a Gerusalemme alla vigilia di diventare ministro? Certo che no, dato che i pentimenti senza penitenza sono nulli e pure osceni se con premio. Molto più probabile che sia successo quando è andato in un’assemblea dei suoi a dire che bisognava essere antifascisti. Perché la sinistra va così male? Che sia perché mai nessuno è andato in un’assemblea dei propri a dire che era giusto professarsi anticomunisti? Forse è tutto lì.

5 novembre 2009. Stranieri, ospedali, prenotazioni
A Torino l’ordine dei medici ha denunciato, nell’ultimo mezzo anno, una caduta delle Ivg per le straniere in contemporanea con un aumento dei ricoveri al pronto soccorso per emorragia. Non vorrà dire qualcosa? Stranieri a parte, le prenotazioni in alcuni ospedali semplicemente non si fanno più: il sito dà un numero di telefono, uno di fax oppure un indirizzo e un orario per andare di persona. I due numeri sono sempre - sempre occupati; se vai di persona ti dicono che sono pieni e di ripassare la settimana dopo. Morale: non c’è prenotazione possibile nel pubblico.
(Francesco Ciafaloni)

6 novembre 2009. Una data dell’umanità
Per la prima volta nella storia del mondo la popolazione urbana ha superato quella rurale. (www.neodemos.org)

7 novembre 2009. Ancora il Crocefisso
Nella Prima lettera ai Corinti la croce di Cristo è definita "scandalo” e "follia”. Queste espressioni sottolineano la radicale incompatibilità tra la fede, che riconosce la presenza di Dio in un corpo d’uomo sofferente, condannato a una morte ignominiosa, e la sapienza umana, che associa l’idea del divino all’onnipotenza, all’incorporeità, all’imperturbabilità. Oggi le gerarchie cattoliche ribadiscono l’assoluta necessità che l’immagine di quell’uomo agonizzante, riprodotta in decine di migliaia di copie fatte in serie, sia affissa nelle aule scolastiche e negli uffici pubblici, a testimoniare le radici cristiane della nostra cultura. Mi stupisce che i credenti che si fanno latori di questa rivendicazione non si rendano conto che, riducendo l’icona di Cristo in croce a un rassicurante simbolo delle tradizioni codificate e dell’ordine costituito, si finisce per svuotarla del suo carattere sconvolgente, e per falsarne profondamente il significato. Ho insegnato per molti anni (fino all’ultimo concordato) con il brutto crocifisso d’ordinanza, prescritto per tutte le scuole d’Italia come segnacolo della "religione di stato”, appeso alle mie spalle. Non mi è parso che questa presenza suscitasse nei miei alunni riflessioni profonde sul destino umano e sul senso della vita. Mi è sembrato anzi che il depositarsi quotidiano di sguardi distratti degradasse il crocifisso al rango di una banale suppellettile, paragonabile agli attaccapanni o alla lavagna, con l’aggravante di non svolgere alcuna funzione pratica. Nessuno si accorgeva che il nostro tran tran didattico scorreva di fronte alla rappresentazione di una tragica agonia. Ridotta a insignificante ornamento standardizzato imposto per legge, la croce di Cristo non aveva nulla di folle o di scandaloso.
Ancora più grave mi sembra che, da parte delle gerarchie di una chiesa cristiana, si insista sull’identificazione tra quel simbolo e la nostra tradizione culturale. Non si può negare che l’arte, la letteratura, il pensiero dell’Occidente siano profondamente segnati dal cristianesimo. Ma non tutto ciò che si è compiuto in nome di Cristo è stato lodevole ed accettabile. La traccia storica dei dogmi e dei simboli cristiani è depositata nella Commedia di Dante come nella vicenda delle crociate, nell’opera di Michelangelo come nei roghi della Santa Inquisizione. Per secoli le comunità ebraiche e le altre minoranze religiose hanno visto nella croce un simbolo di persecuzione più che di amore fraterno. E si potrebbe continuare a lungo. Insomma l’esperienza storica dovrebbe aver insegnato a noi cristiani che non è il caso di identificare i nostri progetti, le nostre imprese, i nostri modelli di società con il nome e la volontà del Dio nel quale crediamo. Il ricordo di quell’uomo crocefisso dal potere politico e religioso non merita di essere utilizzato come marca identitaria che contrassegna un territorio, bandiera delle ragioni di una cultura contro altre culture. Dal punto di vista della fede cristiana la riduzione del crocefisso a simbolo della "nostra” cultura è una banalizzazione e uno snaturamento. Dal punto di vista sociale è un’indebita intrusione confessionale nello spazio pubblico, che appartiene ugualmente a cristiani e non cristiani, credenti e non credenti. (Guido Armellini)

8 novembre 2009. Massimo Cucchi
Arrestato e picchiato, con fratture al cranio, alla mandibola, a due vertebre, alle mani, è rimasto per giorni in cella, dolorante, in sciopero della fame perché voleva vedere il suo avvocato. Inascoltato. Un medico mette agli atti il fatto che rifiuta il cibo e glielo fa firmare. Un altro medico firmerà il certificato di "morte naturale”. Questa è l’Italia.

10 novembre 2009. La Cina in Africa
Il 4 novembre, il ministero del Commercio cinese ha dichiarato che l’assistenza cinese all’Africa non danneggia gli interessi di Paesi terzi. Il ministero ha affermato che in più di 50 anni, la Cina ha sempre persistito nel fornire tutta l’assistenza possibile all’Africa.
Secondo i dati pubblicati lo stesso giorno dal ministero del Commercio, finora la Cina ha fornito oltre 900 progetti a più di 50 Paesi africani. Ha formato 300 mila persone nelle varie discipline, inviato 35mila tecnici, e ridotto o cancellato i debiti di 33 Paesi africani poveri fortemente indebitati e sottosviluppati.
Nel blog di Giovanni Spataro, redattore de "Le Scienze” si torna a parlare del fenomeno del land grabbing, cioè l’acquisto o l’affitto di terreni agricoli da parte di governi o compagnie estere.
Spiega Spataro -citando le Nazioni Unite- che "dal 2006, tra 15 e 20 milioni di ettari di terra in paesi in via di sviluppo sono stati oggetto di transazioni o negoziazioni in cui sono stati coinvolti investitori stranieri”. Più o meno la stessa estensione di tutti i terreni agricoli francesi messi insieme.
Questo leasing o "vendita di capacità alimentare” riguarda soprattutto l’Africa subsahariana, in particolare: Camerun, Etiopia, Repubblica democratica del Congo, Madagascar, Mali, Somalia, Sudan, Tanzania e Zambia. E in misura minore anche Brasile, Cambogia, Indonesia, Kazakistan, Pakistan, Russia e Ucraina. Gli acquirenti, o potenziali tali, sono Arabia Saudita, Cina, India, Libia, Corea del Sud ed Egitto [...]. La Cina ha intenzione di portare a 20 il numero di centri tecnologici per l’agricoltura sparsi per l’Africa. Ovviamente la Cina non è un paese di filantropi. Dunque i cinesi chiederanno il conto. Anzi lo stanno già chiedendo, visto che pare stiano negoziando l’acquisto di terreni in Mozambico. Ma a differenza degli altri acquirenti, usano una testa di ponte tecnologica per ammorbidire le posizioni e trovare un punto di equilibrio con i venditori. Senza contare -conclude il redattore de "Le Scienze”- che la Cina è il solo paese in via di sviluppo i cui contadini oggi impieghino colture transgeniche sviluppate dalla ricerca pubblica. Con la consapevolezza che sapere è potere.
(http://spataro-lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/)

17 novembre 2009. Ansia da prevenzione
La proposta, sostanzialmente, alza di dieci anni (dai 40 ai 50) l’età di inizio dei controlli per il tumore al seno, fondamentalmente la mammografia. Le nuove linee guida americane sono tese a evitare trattamenti inutili, tanto più che i risultati delle indagini pare abbiano dimostrato che dieci anni di test tra i 40 e i 50 anni servono a salvare una vita su 1904. Un eccesso di prevenzione, dunque, per un risultato così limitato. Tanto più che queste procedure provocano forti dosi di ansia nelle donne.
Il provvedimento non ha avuto l’accoglienza che forse si sperava. Ad essere scettiche non sono solo le donne, ma anche molti medici. Gli specialisti capiscono il controverso rapporto costi-benefici. Non così le loro pazienti che replicano di poter vivere con un po’ d’ansia e stress in più, ma non con un po’ di cancro.
La stessa idea che solo una donna su duemila sia a rischio è pochissimo rassicurante.
Ma se con i soldi risparmiati in quei 10 anni di screening si facesse procedere la ricerca sull’immunizzazione dal cancro?
Qui però interviene l’altra faccia dell’ansia. Molti pazienti l’hanno già detto ai loro medici: "Capisco, ma non potrei reggere l’ansia di non sottopormi alla mammografia”.
(www.nytimes.com)

20 novembre 2009. Anni ’90
Massimo D’Alema ha detto, di passaggio da qualche parte, che "hanno fatto male a cavalcare tangentopoli”.
Beh, forse la questione va un po’ chiarita.
Primo. Le tangenti le prendevano tutti. Forse altrove non se n’erano accorti, in Emilia-Romagna sì. Il problema del finanziamento illecito dei partiti, così come quello di uno Stato che più corrotto non si può, così come quello di tantissimi cittadini che, specie se benestanti, sono usi a non pagare le tasse; il problema, cioè, dell’illegalità italiana è un problema nazionale (il che non vuol dire affatto che non è un problema, come volevano ieri i craxiani e oggi i berlusconiani) e come tale andrebbe trattato. Ora successe che i magistrati attaccarono solo i socialisti e i democristiani, e i comunisti la fecero franca. Non si sa ancora bene il motivo: perché tanti magistrati erano influenzati dal loro essere di sinistra? Perché i comunisti -e questo è certo- facevano le cose fatte bene e non andavano in giro con valigie piene di banconote? Perché -è stato detto anche questo- i socialisti erano diventati famelici per il lungo digiuno a cui per decenni gli altri due li avevano costretti? Sia come sia i comunisti furono risparmiati e cosa fecero? Si alzarono e puntarono il dito contro gli altri due gridando: "Loro, sono loro, i colpevoli”. Chissà perché qualcuno può pensare che un’azione che in qualsiasi gruppo umano verrebbe considerata infame (anzi, una delle più infami: il correo che per apparire innocente accusa con veemenza i compagni) se commessa in politica possa essere legittima. O forse il perché è semplice: sta in una tradizione che per raggiungere i propri fini, foss’anche nobili, il che è tutto da vedere, ha considerato legittimo l’uso di qualsiasi mezzo: la menzogna, la calunnia, la distruzione morale e fisica degli avversari. Fatto sta che una questione nazionale è stata piegata a questione di parte e questo in politica è ben più che un errore. Tant’è che il paese da allora è precipitato in un clima di guerra per bande.
Secondo. S’è discusso, per esempio a proposito dell’Algeria, se sia mai giustificabile un "golpe democratico”, una violazione, cioè, della costituzione, una rottura violenta del patto, per salvare la democrazia e la libertà da chi le sta usando per distruggerle. Forse però esiste anche un altro tipo di colpo di stato, di segno opposto, che punta a uno stravolgimento reale della democrazia nel rispetto formale delle regole costituzionali. Lo si potrebbe chiamare "golpe costituzionale”. In fondo, poi, non è di questo che da più parti si sospetta Berlusconi? E c’è del senso infatti: se si dovesse usare una vasta maggioranza parlamentare ottenuta con un cospicuo premio di maggioranza per stravolgere la costituzione sarebbe una specie di golpe che si consuma nel pieno rispetto delle regole. E non basterebbe il referendum successivo a cambiare la sostanza. Ora il 29 aprile del 1993, la data più infausta del dopoguerra, come ci spiegò bene Marco Boato in un’intervista di tanti anni fa, gli ex-comunisti, accodandosi al giustizialismo dei precursori dell’Idv, la Rete, e della Lega, decisero di far cadere il governo Ciampi (ancora non si sa da chi venne la spinta decisiva: Occhetto e D’Alema se la rinfacciano a vicenda) e di andare alle elezioni. Gli altri grandi partiti erano a pezzi, quasi nell’impossibilità pratica di presentarsi. La sinistra rappresentava solo il 35% dei voti. E l’altro 65 chi l’avrebbe rappresentato? Che azione è stata questa? Forse parlare di "piano eversivo”, come s’è fatto in questi anni da parte della destra e degli ex-socialisti, è esagerato, ma certo si stava creando una situazione di grave deficit democratico. Di nuovo un problema che chiamava a un’assunzione di responsabilità nazionale era stato piegato a calcolo di parte. Un calcolo, fra l’altro, che più sbagliato di così non si sarebbe potuto. Il risultato fu catastrofico: Berlusconi.
Detto questo, un consiglio a Massimo D’Alema: se mai dovesse ricapitare non si cimenti nel cavalcare, vada a piedi. (gs)

21 novembre 2009. Non è un paese per liberalizzatori
Fabiano Schivardi su Lavoce.info commenta la riforma "restauratrice” dell’Ordine degli avvocati. Un ddl che -inspiegabilmente- vede l’appoggio anche dei senatori Pd. Oltre all’introduzione di corsi, verifiche (pure sul reddito, che non dovrebbe scendere sotto una certa quota, pena l’espulsione dall’albo) e balzelli vari, si fa un emblematico dietrofront anche sul patto "no win no fee”, ovvero sulla possibilità di stipulare tariffe vincolate al risultato. Insomma, le classiche misure di restrizione alla concorrenza.
"La breve stagione delle lenzuolate di Pier Luigi Bersani -esordisce Schivardi- è morta e sepolta. Più agguerrite che mai, le varie lobby che hanno visto intaccati i loro interessi stanno dettando la restaurazione. La riforma della professione di avvocato, approvata la settimana scorsa dalla commissione Giustizia del Senato, ne è un esempio eclatante. Cancella i pochi provvedimenti innovativi dalla legge 248 del 2006 e ribadisce una impostazione assolutamente corporativa della gestione della professione di avvocato. Non è un paese per liberalizzatori, né per giovani, che trarrebbero vantaggio da una regolamentazione meno corporativa dell’attività forense […]”.
Siamo penultimi, davanti alla Turchia, nella classifica dell’Ocse sulla liberalizzazione nell’avvocatura. Ma ci faremo superare.
(lavoce.info)

22 novembre 2009. Lotta alla mafia
Impressionante la successione di colpi portati alla mafia e alla camorra. Forse ci voleva un ministro degli interni "straniero”, non interessato ai voti siciliani e campani.

24 novembre 2009
Venerdì scorso, nel cimitero ebraico di Varsavia, attorno alla tomba di Marek Edelman e degli altri del Bund c’erano tre gruppi di circa 80-100 ragazzi complessivamente, ebrei, provenienti alcuni da Israele, ma la maggior parte da paesi dell’America Latina, in Israele per un anno a fare uno stage. Erano universitari, ogni gruppo con il suo insegnante di Israele, molti ragazzi avevano la kippah sulla testa. Attorno alla tomba di Edelman erano pensosi e interessati, facevano domande e scrivevano appunti, discutevano animatamente con gli insegnanti, parlavano di assimilazione, di sionismo, di pacifismo, di socialismo, sembravano curiosi di capire e comunicare e spiegavano con cura le opinioni da cui dissentivano. Era un’immagine bellissima. Forse sono loro quelli con cui parlare per capire Israele e il suo futuro.
(Fausto Fabbri)

24 novembre 2009. Da un lettore
Cari amici, ho letto l’articolo di Donolo con un disagio molto forte, non tanto per la gravità della situazione, ma per l’ambiguità delle tesi. Sulla gravità della situazione ricordo un’altra intervista molto più tragica, qualche numero fa ad una assistente sociale che raccontava della sua esperienza di lavoro in una zona di camorra in cui il supporto psicologico e sociale non poteva che esser indirizzato ad aiutare le persone in qualche modo ad adeguarsi all’ambiente perché quella era la realtà in cui vivevano e non si poteva eludere.
In questa intervista appariva in tutta la sua brutalità e il suo cinismo l’azione della classe politica meridionale, ma non solo di questa, perché solo l’indifferenza e il disprezzo per le persone da parte di un’intera classe politica poteva permettere di accettare situazioni come queste. E sto parlando della classe politica della sinistra evidentemente.
L’articolo di Donolo è chiaro e condivisibile per buona parte della sua argomentazione. Donolo dice: "la fatica di questa resistenza è ammirevole, ma purtroppo questi soggetti non ce la fanno a sfondare, nel senso di dire alla classe dirigente politica e imprenditoriale: ‘Insomma basta’. Ecco questo basta non si sente, è difficilissimo. Occorre dire che qui il punto non è il coraggio individuale, ma il coraggio associativo: i partiti, i sindacati, la Confindustria, cosa dicono? O meglio (perché non basta più dire) cosa fanno? Se la selezione della classe dirigente locale è così problematica, le rappresentanze degli interessi organizzati portano grandi responsabilità. Sono filtri che non funzionano”.
Verso la fine alla domanda dell’intervistatore "Quanto conta la mancanza di una classe dirigente all’altezza?” si risponde notandone l’assenza e mettendo a fuoco come la media borghesia e la classe politica locale sia incentrata sulla rendita. Insomma fin qui classe politica, classe imprenditoriale, media borghesia (presumo anche l’alta, ma i termini sono pericolosamente non definiti) bene o male si nominano i responsabili del degrado del Sud. Ma poi alla fine si dice "ad aggravare la situazione c’è anche l’assenza di una domanda sociale percepibile dal Sud in direzione dello sviluppo […] viene da pensare che la questione sia in una situazione di amnesia anche all’interno del Sud stesso […] potremmo dire che la domanda rivolta al Sud è diventata: cosa volete fare da grandi, mettervi in condizione di saper rispettare le regole […] o in fondo volete il vostro piccolo mondo antico?”. Qui imprenditori, classe politica, borghesia media o grande, sono spariti. C’è il Sud, la domanda si fa al Sud quindi anche al disoccupato, al lavoratore in nero, al piccolo delinquente. Non credo sia solo un lapsus calami. Questo slittamento dal discorso strutturato in cui appaiono le diverse classi o categorie, perché parlando del concreto, dei finanziamenti della CE, dei provvedimenti per lo sviluppo ecc, gli attori veri sono evidenti, al discorso di senso comune (non di buon senso!) in cui appaiono il paese, gli italiani, il Sud è oggi consueto nel linguaggio della sinistra. E non solo quando si parla del Sud. Quanto più la sinistra è incapace, lontana dai problemi del paese, tanto più cresce la sua insofferenza verso il paese. Ricordo uno dei momenti più bassi e volgari della politica italiana, quando Prodi alla fine della sua inutile legislatura arrivò a dire pubblicamente che se la classe politica era corrotta e clientelare, il paese non era certo meglio. E se questo discorso così meschino ha un senso detto da dirigenti politici che stanno cercando scuse per la propria incapacità, diventa un tragico segnale di rinuncia quando è ripreso da coloro che operano concretamente per cambiare il paese, come credo Donolo, come una città.
Dopo il discorso di Prodi sono uscito dal Pd ed anche da Libertà e Giustizia, che non trovò nulla da eccepire e ricordo che rimasi colpito dalla quasi inesistente risposta alle sue accuse al paese. Per me questo discorso è la cartina di tornasole tra chi ha ancora volontà di lottare per cambiare e chi di fatto sta rinunciando e più o meno brutalmente accusa il paese tutto delle "sue” sconfitte. (Mario Saccone)

25 novembre 2009. Italiani tra virgolette
C’erano una volta gli sbarchi. E chi non faceva domanda d’asilo veniva smistato nei centri di identificazione e espulsione (Cie) d’Italia in attesa del rimpatrio o del rilascio con un ordine di allontanamento. Ma adesso che gli sbarchi sono diminuiti del 90% negli ultimi cinque mesi (dati del Viminale), chi è che finisce dentro i Cie? Per scoprirlo stiamo girando i Cie di tutta Italia. Cominciando da quello di Roma, a Ponte Galeria. Lì abbiamo scoperto che, oltre a un terzo circa di ex detenuti trasferiti direttamente dal carcere, le vittime del giro di vite sulla clandestinità sono soprattutto "italiani”. Italiani tra virgolette, perché non hanno la cittadinanza, ma in Italia vivono da quindici, venti o trent’anni. Gente che ha avuto il permesso di soggiorno con le sanatorie del ’93 e del ’95, e che il permesso se l’è visto ritirare per scadenza termini, essendosi trovato senza datore di lavoro al momento del rinnovo. In vent’anni però in Italia uno si costruisce una vita. E allora c’è chi fuori ha moglie e bambini piccoli. Ci sono famiglie che rischiano di essere spezzate in due. In nome della sicurezza degli italianisenzavirgolette. Drammi che hanno portato alcuni a tentare il suicidio, bevendo la candeggina o tagliandosi i polsi. Oppure a imbottirsi di psicofarmaci per non impazzire.
(http://fortresseurope.blogspot.com)

26 novembre 2009. La vanità della sinistra
Uno dei problemi più gravi della sinistra? La vanità. Si cerca di spacciare per fedeltà ad alcuni ideali (la quale in realtà giustificherebbe anche abiure, feroci autocritiche e incoerenze politiche) quella che, invecchiando, non è che una strenua difesa della propria personale biografia.
Un amico diceva che se si scrive un’autobiografia ci si deve fare del male. E per lui questo era motivo per non scriverla. Forse è il contrario.

La citazione
Uno dei mali peggiori di ogni dittatura terroristica è che non solo i suoi critici e i suoi avversari, ma anche tutti coloro che sono imparentati o anche solo remotamente legati con essi, sono in continuo pericolo di arresto, confino, esilio, imprigionamento ed anche di morte. In tal modo il terrore riesce a farsi sentire anche al di là delle frontiere del paese che affligge. I russi e gli italiani all’estero devono stare attenti a ciò che fanno e dicono se hanno parenti nel paese. Ogni fuggiasco dalla Russia o dall’Italia sa che la sua fuga può significare disgrazia per i suoi amici. Il terrore prende ostaggi, nonostante la cattura di ostaggi appartenga alla guerra e non alla pace. E non è legale né in guerra né in pace. Ma allo stesso modo che la legge è calpestata dalla guerra, così è calpestata dal terrore. Molto si è scritto sulle sofferenze causate dal terrore. Ma, per quanto ci è noto, non è mai stato tentato di valutare l’influenza distruttiva del terrore nel senso della legalità che, dopo tutto, è uno dei fondamenti della stessa civiltà.
Dal "Manchester Guardian”, 15 agosto 1930
Ci è capitata sott’occhio questa citazione riportata da "Il becco giallo” (novembre-dicembre 1930), giornale antifascista pubblicato in Francia e diffuso clandestinamente in Italia e ci ha fatto pensare che la parola "dittatura” non deve essere sciupata, ma deve continuare ad essere precisa, concreta, esatta, da usare solo a proposito. La lettura di queste poche righe, poi, le raccomandiamo in particolare ai giornalisti e agli emeriti intellettuali che scrivono sul nostro  quotidiano sempiterno comunista, così vigile sui pericoli che starebbe correndo la democrazia italiana e che poi non sente il bisogno di ricordare con soddisfazione la caduta del muro di Berlino. Anzi.

25 novembre 2009. Destra e sinistra
Nel sito del Secolo d’Italia, oggi a primeggiare nella classifica dei "più letti” è il seguente intervento.
C’è l’epoca delle mezze misure, e l’abbiamo interpretata fino in fondo. Le ronde? "sicurezza partecipata”, e lasci correre. Il reato di immigrazione clandestina? "Non serve per aprire cacce all’uomo, ma per facilitare le espulsioni”, e fai finta di crederci. Il potere di ordinanza dei sindaci in materia di ordine pubblico? "Non insidia i poteri dello Stato, aiuta a gestire il territorio sulla base delle sue specificità”, e va bene così. Il florilegio di regolamenti che subordinano il diritto di residenza alla regolarità dei contratti di affitto, alla cubatura degli appartamenti, all’igiene, alla manutenzione di bagni e caldaie? "Il razzismo non c’entra, valgono per tutti”. Poi, in un paesino del bresciano, un sindaco manda i vigili di notte a bussare a casa degli stranieri intimando di mostrare i documenti. E non si può più rifugiarsi negli eufemismi. Anche perché, magari, da ragazzino ci sei passato pure tu, pure tu hai avuto qualcuno che bussava all’alba a casa perché eri "diverso”, "irregolare”, "sospetto”. E pure tu le hai viste le ronde (quando si chiamavano volanti rosse), la pulizia etnico-ideologica, le "scuole differenziate” perché alla pubblica rischiavi le botte, pure tu hai visto fare di tutt’erba un fascio e picchiare quelli che davano volantini perché c’erano quelli che mettevano le bombe. E allora, stronzi si può dire, o no?
Seguono commenti entusiasti.
(www.secoloditalia.it)