Il libro di Roberto Saviano (e le giornaliere cronache napoletane) come dramma, o le nostalgie della Iervolino per il “guappo onesto” come farsa, pongono il problema dell’atteggiamento nei confronti della criminalità. Ci sto riflettendo in quanto abitante di Napoli, ma soprattutto da quando mi esercito con i miei colleghi a prendermi cura di ragazzi che sono anche figli e nipoti di persone appartenenti a vario titolo al mondo criminale. Come guida prenderò Varlam Salamov, il quale sull’argomento ci ha mandato a dire cose decisive dalla Kolyma, luogo in cui la criminalità come sistema, ordine chiuso ed ereditario, ha rivelato al meglio la sua natura intrinseca e le sue funzioni sociali e politiche nell’intreccio ambiguo con il più ampio sistema del potere totalitario. In una così grande diversità di tempi e contesti, sono impressionanti -e invitano a riflettere- le somiglianze e affinità profonde con i sistemi criminali in mezzo ai quali viviamo.

Nel gulag sovietico, organizzazione totale del lavoro forzato, nella quale il “rifiuto del lavoro” è il peggiore dei delitti, i criminali (gli urki) sono gli unici che riescono a non lavorare, grazie al potere corruttore della loro violenza organizzata. Il quale gli consente di ottenere senza lavoro -in un regime di penuria coatta- gli oggetti agognati: il pane, i vestiti, le sigarette, le donne.
Una delle fonti della forza di attrazione che il sistema criminale esercita sui ragazzi odierni risiede nella possibilità di ottenere senza lavoro -in un regime di sovrabbondanza coatta- gli oggetti agognati: la supercilindrata, i vestiti firmati, le donne. Basta una pistola e un po’ di cocaina. Una volta, alla mia obiezione che la contropartita è la garanzia di morte entro i trent’anni, un ragazzo rispose tranquillo che riteneva preferibile la garanzia di avere la moto, i soldi e le donne, fino ai trent’anni.
Tuttavia ho l’impressione che ancora oggi il vero potere corruttore non risieda principalmente nella ricchezza (incomparabile con ogni esempio del passato) delle moderne multinazionali del crimine, che le rende in grado di comprare pressoché qualunque cosa o persona, ma nelle stesse ragioni profonde per le quali -dice Salamov- è il mondo criminale a dare il volto, il tono della vita dell’intero lager, dal più infimo dei prigionieri alla più alta autorità. Sembra un paradosso, trattandosi di detenuti sottoposti a un regime di potere totale: eppure il loro potere sembra ancora superiore; forse è l’onnipotenza di chi è capace di giocare con la vita e con la morte “con piacere, a cuor leggero e con l’animo tranquillo, ogni giorno e ogni ora”. Senza limiti di nessun genere.
Tra i due poteri corrono rapporti di odio e insieme di collusione. Alcuni giochi si giocano assieme, perché c’è comunanza di interessi, primo fra tutti la persecuzione e lo sterminio dei “nemici del popolo”, i trockisti nel ’38 e complessivamente tutti gli “Ivan Ivanovic”, gli intellettuali, che sono oggetto privilegiato dell’odio di entrambi i poteri. Gli urki aderiscono con entusiasmo al programma, in cui il loro ruolo di massacratori riceve dall’ideologia la dignità di una veste di classe e politica.
La diffidenza e il disprezzo verso chi vive usando le armi del sapere sono ancora oggi un connotato distintivo del mondo criminale; non bisogna farsi trarre in inganno da qualche esempio di delinquente di buone letture: sono eccezioni rare, anche Salamov ne descrive, sottolineando nel contempo il sospetto e l’avversione dei loro compagni: “La sua natura era agli occhi dei compagni troppo complessa e quindi incomprensibile e inquietante. La sua abitudine di esporre i propri pensieri in modo chiaro, logico e breve li irritava e li induceva a sospettare in lui qualcosa di estraneo al loro mondo”. Oggi mandano i figli alla scuola elementare, poi diventa sempre più difficile: la scuola è uno spazio troppo aperto e pericoloso, in primo luogo per le femmine. Sta di fatto che i sistemi criminali realizzano la più gigantesca scalata al benessere e al potere economico totalmente estranea ai meccanismi di ascesa sociale legati al livello di istruzione.
Nel mio catalogo personale del male, rimane tra i primi posti la pratica -descritta da Salamov- con la quale il criminale strappa alle prigioniere affamate prestazioni sessuali in cambio di tanto pane quanto ne riescono a mangiare nella durata della prestazione medesima. Salvo “preparare” le pagnotte immergendole nella neve artica, in maniera che a ...[continua]

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