Il 16 marzo a Sarzana, in una sala del Consiglio comunale gremitissima di cittadini, tra i quali moltissimi ex partigiani testimoni di quegli avvenimenti, è stato presentato il libro di Carlo Spartaco Capogreco, Il piombo e l’argento, Donzelli Editore. Riportiamo qui ampi stralci degli interventi del professor Paolo Pezzino e di Andrea Ranieri.

Paolo Pezzino
Dante Castellucci, nato nel 1920, approda alla lotta partigiana attraverso un percorso nel quale la sua esistenziale e istintiva opposizione al regime, (un classico esempio di quello che Guido Quazza definiva “antifascismo esistenziale”, più che un antifascismo che derivava da un’appartenenza ad una famiglia politica antifascista), viene incanalata nell’impegno politico attraverso l’incontro con un’altra interessantissima figura, Otello Sarzi, che nell’agosto del ‘40 era stato inviato al confino nel paese nativo di Dante, S. Agata d’Esaro, in Calabria. Attraverso Otello Sarzi, Dante entra in contatto con la famiglia Cervi, diventandone ben presto intimo. Militare di leva ha un’esperienza di guerra in Russia, viene poi rimpatriato per motivi di salute, diserta il 25 luglio del ‘43 -non aspetta l’8 settembre- e decide che è il momento di passare ad una fase attiva di impegno. Si unisce così alla famiglia Cervi approdando alla lotta partigiana e passando da questa posizione di antifascismo esistenziale a un impegno politico attivo nella precoce organizzazione della resistenza nel reggiano. E’ una fase primordiale della Resistenza, siamo appunto dopo il 25 luglio e poi ancora dopo l’8 settembre, nella quale la Resistenza si organizza anche per tentativi locali, spesso non ben coordinati. Il libro dimostra come anche all’interno dei comunisti delle brigate del parmense ci fossero differenti visioni della lotta resistenziale e come i fratelli Cervi fossero favorevoli a una lotta immediata, pensando anche a una possibilità di insurrezione popolare antifascista, e si scontrassero ad esempio con i dirigenti della federazione comunista di Reggio Emilia. Questi ultimi pensavano che ci si dovesse attrezzare per una lotta di più lunga durata e quindi che alcune primordiali esperienze compiute dai fratelli Cervi fossero addirittura pericolose. Tant’è che i fratelli Cervi a un certo punto trovano appoggio e sostegno nel parmense, invece che a Reggio Emilia. Arrestato insieme ai sette fratelli Cervi e altri partigiani, Facio si finge soldato francese sbandato, approfittando della sua perfetta conoscenza della lingua; non viene portato nella prigione di massima sicurezza insieme agli altri, ma in un carcere dal quale non gli è troppo difficile fuggire. Nonostante alcuni sospetti di una sua collaborazione con le autorità fasciste, che erano stati messi in circolazione senza alcun fondamento, viene creduto proprio dai compagni parmensi come personaggio degno di fiducia e inviato sui monti presso il distaccamento “Picelli”che si era appena costituito e che operava in Lunigiana, nell’alta valle del comune di Pontremoli. Continua tuttavia ad avere un rapporto con la struttura politica militare parmense, dalla quale Facio si considerava dipendente, tanto da venire inquadrato nella XII brigata Garibaldi-Parma. E’ una banda come tante di quelle che si formano all’inizio, in questa fase primordiale, in cui poi molto spesso nonostante gli inquadramenti in brigate o in divisioni, quello che conta è il comandante, la località e il rapporto che si crea tra un gruppo di giovani e le persone di quelle località; è una Resistenza molto localizzata, scollegata, perché non ha ancora trovato le forme di un coordinamento più ampio; è una banda che Spartaco Capogreco definisce improntata ad un “...socialismo umanitario, che non soltanto combatte militarmente il fascismo, ma propugna una condivisione comunistica dei beni e dei rischi. Mettendo in essere l’effettiva eguaglianza fra tutti i suoi componenti”. Ancora una volta mi rifaccio a Guido Guazza, che definì le bande partigiane come “microcosmi di democrazia”. Non erano tutte così: ad esempio, le bande che avevano un’origine militare avevano al loro interno una struttura gerarchica che riproduceva quel rispetto per la gerarchia che è tipico dei soldati e dell’esercito, ma molto spesso vi si riconosce una caratterizzazione politica, una generica appartenenza ad una famiglia politica, a una ideologia. Ci si diceva comunisti non perché si avessero strettissimi rapporti con una struttura del partito che faticava a tenere i colleg ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!