Così, vedi, mi sono deciso a scriverti. Forse non te l’aspettavi più, mi davi per perso, tutto preso dal mio nuovo incarico di interprete della Commissione Europea, ma io ti ho pensato spesso. So che hai vinto il concorso di associato di Storia delle Religioni e forse hai paura che ti invidii. Sì, un po’ ti invidio. Avrai degli allievi, sarai un caposcuola, ne hai la stoffa. Ma poi no, non ti invidio, io non sono un professore, sono solo un finto avventuriero, e mi sono trovato un lavoro che è tutta una finta avventura. Ti scrivo dallo Hilton di Lagos. Ci sono arrivato dopo un viaggio di due settimane nel Sahel con una delegazione di Bruxelles a cui si è unito un esperto americano. Si trattava di decidere se continuare un programma di aiuti e in quale modo. E’ metà giugno e dovrebbe essere la stagione delle piogge, ma le piogge sono in ritardo, come lo sono state l’anno scorso e come lo saranno l’anno venturo. I pastori passano le giornate intorno ai pozzi e tirano su solo secchi pieni di fango. Sai quanto è lungo il Sahel? Duemila miglia, dalla costa del Senegal al Chad. Duemila miglia di pascoli appassiti dove soffia lo harmattan, il vento del Sahara, secco e rabbioso, dalle dune d’Algeria fin quasi al mare. Non c’è un cambio di pressione che lo fermi. Sahel significava confine del deserto. Non c’è più nessun confine.

Due giorni fa è successa una cosa curiosa. Eravamo nella suite di Mr. Wilkins, il nostro consulente americano, un agronomo delle pianure centrali, grigio di capelli, faticoso nell’acume, e alla sua prima missione così lunga e impegnativa. Bevevamo qualcosa, chi sdraiati sui letti, chi allungato sui divani, e parlavamo di linee aeree e della qualità del servizio di bordo, la conversazione abituale di tutti i funzionari della cooperazione internazionale. Ogni tanto qualcuno usciva a fumare, perché Wilkins è l’unico che non fuma. Io ho appoggiato un bicchiere su una cassettiera e il titolo di un libro che ci stava appoggiato sopra mi ha incuriosito. Era scritto da un predicatore americano e paragonava il cosiddetto Nuovo Ordine Mondiale alla venuta dell’Anticristo. Così queste erano le letture di Mr. Wilkins? Intendevo ritornarci appena la serata si fosse un poco diradata. Mi sono versato un altro bicchiere, ho attaccato discorso con un funzionario francese e quando ho cercato il libro mi sono accorto che non c’era più. Senza che me accorgessi Wilkins l’aveva fatto sparire.

Tra il 1973 e il 1980 il Sahel ha ricevuto cinque miliardi di dollari per combattere la siccità. Gli aiuti erano programmati da esperti diplomati nelle università agrarie dell’Indiana e del Texas; dovevano razionalizzare e incentivare l’agricoltura tradizionale, trasformandola da economia di sussistenza in economia da esportazione. La parola d’ordine era: “monetarizzazione delle risorse”. Hanno costruito dighe grandiose, bloccato i fiumi e scavato canali. Hanno costretto a migrare i pastori che si affidavano alle inondazioni periodiche e li hanno convinti a diventare agricoltori. Poi si sono accorti che il terreno era troppo salato per le coltivazioni e le zone intorno alle dighe sono state abbandonate, così che ora molte delle dighe sono sul punto di crollare. Tra il 1950 e il 1960 vennero costruiti anche pozzi enormi, che potevano abbeverare seimila capi di bestiame in territori dove di solito ne pascolavano seicento. Calpestato e brucato da un numero eccessivo di animali, il terreno si era trasformato presto in un deserto, con il suo bravo pozzo al centro, e i Tuareg ne hanno già fatto chiudere più di uno per fermare la desertificazione. In alcune zone ci sono stati dei successi: l’economia di sussistenza è stata rimpiazzata da coltivazioni di palme da olio, arachidi e cotone, e le esportazioni sono aumentate per tutti gli anni ’70. Ma ci hanno guadagnato solo le compagnie esportatrici e la gente non può mangiare solo arachidi. Così, mentre le risorse venivano monetarizzate, è cominciata la fame. Anche i veterinari sono stati molto bravi: hanno ingrandito la misura dei greggi oltre le capacità di assorbimento del terreno, esercitando una pressione intollerabile su una terra quasi arida. Solo da pochi anni gli antropologi hanno cominciato a pensare che i costumi delle etnie del Sahel non erano poi così rozzi, e che avevano il preciso scopo di garantire loro la sopravvivenza in un ambiente povero e ostile.

Perché Wilkins ha avuto paura di lasciare in giro quel libro? Temeva che qualcuno lo riconoscesse? I ...[continua]

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