Una delle principali caratteristiche dei drop out che lungo questi anni hanno trovato rifugio e ospitalità nelle sedi del Progetto Chance è quella di vivere dentro famiglie che sono -nella stragrande maggioranza dei casi- contenitori precari, imprevedibili, oppressivi e paurosi. L’elenco dei descrittori di tale situazione è presto fatto, e rimanda sia a fattori individuali (natura delle persone e delle loro relazioni) che a fattori antropologici (le “usanze del paese”): abuso di droghe e alcool da parte di padre, madre o fratelli; stati mentali più o meno patologici, con particolare incidenza della depressione nelle madri; pratica delle percosse lungo la piramide gerarchica della famiglia (padre- figlio maschio- fidanzato della figlia); detenzione in carcere o agli arresti domiciliari di padre, madre, o fratelli, con conseguente frequentazione (dalla più tenera infanzia) delle carceri d’Italia per i colloqui; fidanzamento precoce più o meno coatto delle ragazze, il cui controllo viene affidato al giovanotto prescelto e alla di lui madre (la “gnora”). Il potere consegnato dai genitori al fidanzato è comprensivo della eventuale proibizione alla ragazza di continuare gli studi, o dell’invasione costante dello spazio scolastico; si è verificato il caso di una ragazza quattordicenne che teneva il cellulare costantemente acceso cosicché il fidanzato (agli arresti domiciliari) potesse controllare tutto ciò che veniva detto da lei e attorno a lei; una novità antropologica che avremmo preferito non scoprire è la variante locale del burka, cioè i morsi in faccia che il fidanzato infligge alla ragazza, specie se bella, in modo che, sfigurata dai lividi, venga sottratta agli sguardi degli altri maschi. Tra i connotati di violenza implicati da una situazione economica e sociale perennemente precaria voglio citare solo la mancanza -dentro uno spazio domestico sovraffollato e turbolento- di uno spazio per sé e per le proprie cose (un ragazzo teneva i suoi splendidi disegni appesi dietro l’anta dell’armadio dei vestiti).
Questo elenco di fatti, piuttosto spaventoso, per noi in realtà ha scarso significato, perché ciò che ci ha sempre interessato, delle ragazze e dei ragazzi che abbiamo accolto, sono le persone, con tutte le loro ferite. I fatti restano sullo sfondo: abbiamo via via imparato a non usarli in maniera deterministica per spiegare, ma a scoprire insieme ai ragazzi le maniere per poterli pensare e raccontare, iniziando così a medicare qualche ferita.
Che cosa rappresenta Chance per i ragazzi? Da subito, ha assunto i connotati della casa: lo dice il tipo di attaccamento che hanno sviluppato, la fedeltà e nostalgia per gli spazi, gli oggetti, i rituali, oltre che per le persone. Poi, è stato molto spesso un teatro, dove i ragazzi vengono intenzionalmente a mettere in scena emozioni e drammi, e si ha l’impressione che lo facciano nel senso catartico del teatro delle origini. Non sempre è facile individuare la “messa in scena” al di sotto di comportamenti apparentemente solo perturbanti o distruttivi, ma se si riesce a farlo il significato nascosto si dispiega, con grande vantaggio di tutti. Il dramma rappresentato esige che i suoi destinatari collaborino a una agnizione, altrimenti il groviglio rimane irrisolto.
Lello, a 15 anni, era sicuro che il suo dovere fosse di uccidere l’uomo per il quale la madre aveva abbandonato da un giorno all’altro i suoi cinque figli. E’ una ferita immedicabile, che impedisce di vivere, figuriamoci di andare a scuola. Il padre lo accompagnava tutti i giorni sotto la scuola, insieme alla sorella, e loro se ne andavano, lui spesso scappava dalla madre, che desidera disperatamente riavere con sé.
Accetta di iscriversi a Chance, partecipa alle feste dei primi due giorni. Il terzo giorno, quando si formano i gruppi di lavoro, dichiara che non può stare nello stesso gruppo con la sorella (che ha un anno meno di lui e in famiglia svolge il ruolo di madre vicaria). Il quarto giorno porta a scuola un quaderno dove ha scritto la storia della sua vita, spezzata in due dall’abbandono della madre (“Io sono nato, e poi mi odiano; vorrei morire ma non subire”). Nella stessa mattinata passa all’esterno dell’aula dove sta la sorella e mostra dalla finestra un coltello. Più tardi, nel cortile, aggredisce e picchia uno dei ragazzi che stanno nel gruppo della sorella, che viene immediatamente ritirato dalla scuola. La comparsa del coltello e la concomitante scomparsa della vittima fanno aleg ...[continua]

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