Il racconto che segue è stato raccolto dallo staff dell’Icahd che si batte contro la demolizione delle case palestinesi nei Territori e a Gerusalemme est.

Il 4 aprile 2001, la casa di Salim e Arabia Shawamreh del villaggio palestinese di Anata è stata demolita per la terza volta. Altre 18 case sono state distrutte quello stesso giorno nel West Bank, assieme a una scuola palestinese e a una dozzina di edifici pubblici. In un’azione promossa dalla Campagna per la Ricostruzione, il 26 e 27 luglio, palestinesi, ebrei e alcuni operatori internazionali hanno cominciato a ricostruire la casa dei Shawamreh per la quarta volta. Non permetteremo che vinca l’occupazione.

Salim Shawamreh, 45 anni, è impiegato presso il Ministero per l’Industria Palestinese. La sua famiglia è profuga del ‘48, dal villaggio di Amishagav, nel Negev. Lui è nato a Gerusalemme, nella città vecchia, ma di nuovo la sua famiglia è diventata profuga in seguito all’invasione e occupazione della città nel 1967, quando hanno dovuto riparare nel campo profughi di Shu’afat. Nel 1982 Salim ha sposato la cugina Arabia, cresciuta in Giordania, e si sono trasferiti in Arabia Saudita, dove Salim ha iniziato a lavorare come ingegnere. Nel 1991, dopo essere tornati al campo, ormai in condizioni impossibili per l’affollamento, Salim e Arabia hanno deciso di trovare un altro luogo dove vivere. Hanno così comprato un pezzo di terra sulla cima del villaggio di Anata, terra che successivamente si è venuta a trovare nell’area C del West Bank.
Anata è una città di circa 12.000 abitanti contesa tra Gerusalemme e il West Bank. Circa un terzo della popolazione ha carte d’identità con residenza a Gerusalemme, gli altri due terzi sono classificati come residenti del West Bank, e quindi senza possibilità di accedere a Gerusalemme –anche alla parte di Anata sotto la giurisdizione di Gerusalemme.
5000 acri sono stati espropriati ad Anata per creare gli insediamenti di Alon, Kfar Adumim, Almon e Ma’aleh Adumim; attualmente attorno alla città è in fase di costruzione una “by-pass road” che collega gli insediamenti. Il sovraffollamento ad Anata sta diventando un problema cronico. Ventitré ordini di demolizione sono stati emessi contro abitanti di Anata, da parte della municipalità di Gerusalemme congiuntamente al Ministero degli interni, e nelle zone confluite nell’ Area C, dall’Amministrazione Civile.
Dopo aver vissuto per quattro anni in quella casa, il terribile momento è arrivato improvvisamente nel luglio del 1998, mentre la famiglia era seduta per il pranzo.

Salim racconta:
Nonostante la prospettiva della demolizione che ci gravava sulla testa, Arabia e io abbiamo vissuto serenamente nella nostra casa per quattro anni. L’ordine di demolizione era presente nelle nostre vite, però in qualche modo eravamo riusciti a lasciarlo sullo sfondo. Del resto gli anni Novanta erano gli anni del “processo di pace”, il numero delle demolizioni era calato vertiginosamente, così speravamo che il pericolo fosse passato, che la nostra casa sarebbe stata risparmiata grazie alla pace.
Nel frattempo non riuscendo a trovare lavoro come ingegnere edile, mi ero messo a svolgere vari lavoretti. Avevo trovato un impiego come autista di Bashir Bargouti, l’editore del giornale al-Ataliya e successivamente presso il Ministero dell’Industria. Di notte poi lavoravo per un servizio di catering israeliano, così perfezionando il mio ebraico e facendomi diversi amici ebrei.
Dopo le elezioni di Netanyahu nel 1996 e l’aumento delle operazioni di demolizione, abbiamo iniziato a temere di nuovo per la nostra casa. Un giorno -il giorno più nero della mia vita, che davvero non auguro a nessuno al mondo, il 9 luglio 1998- stavo pranzando con la mia famiglia quando a un tratto ho sentito dei rumori all’esterno. Ho aperto la porta e ho visto la mia casa circondata da 200 soldati. “E’ la tua casa?”, mi ha chiesto il loro comandante, “Sì, è casa mia”, “No, non lo è -ha replicato lui- ora questa casa è nostra. Hai 15 minuti per portare fuori la tua famiglia e le tue cose. Stiamo per demolirla”.
“Ma cosa dite?” ho incalzato io, non sapendo cosa dire né cosa fare. Lui mi è venuto vicino, impugnando il fucile, e quando ho cercato di spingerlo indietro i soldati mi sono saltati addosso, colpendomi dappertutto, ammanettandomi e buttandomi fuori dalla casa.
Mia moglie in preda al panico e non sapendo cosa fare si è chiusa dentro per proteggere la casa e i bambini. I soldati hanno cominciato a s ...[continua]

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