Sant’Anna è presenza che aleggia reale tra i boschi dell’arco alpino. Varie cappelline ne custodiscono il nome; le statuine ne fissano la memoria e ritrovano il loro spazio naturale nelle processioni. La loro esposizione ai giochi della luce estiva ed alle metamorfosi del folclore le libera da ogni grammatica compositiva. E’ un mondo espressivo che sfugge a noi, figli dello spazio urbano. Eppure basta guardare in volto un’anziana montanara. Una maternità nella baita isolata e coperta da metri di nevi era davvero l’esposizione al vuoto -un "ponere vitam pro aliquo". La ricchezza dei costumi femminili esibiti in processione nella festa di sant’Anna rievoca l’ornamento della vittima, ricollocando la maternità della montanara sullo sfondo mnestico di una qualche "ara pacis". Nell’immaginario di quest’arcaico mondo religioso Anna è il prototipo della maternità. Non perché le matriarche che nel Primo Testamento l’hanno preceduta fossero prive di una drammaticità idealtipica: chi oserebbe pensarlo senza impoverire la stessa rivelazione di una figura come Sara, quest’ironica e tanto femminile sfida alla fede (Gen.18,10-13)? Ma perché Anna catalizza nella pietà popolare il dramma primordiale della maternità: la sua maternità avviene appunto prima di quella di Maria, che pur consente la rigenerazione del cosmo nella logica di un possibile-impossibile nuovo inizio (Lc.1,37). E’ un "prima" postulato per comprendere quel "poi" che è il nostro presente.
Anna non è il segno di una anteriorità storica, ma la figura di ciò che gli scolastici chiamavano il "prius ontologicum". Prima che ogni forma si concretizzi vi è nella mente di Dio l’archetipo che caratterizza e legittima il singolo eone - ed in quest’ultimo le nostre storie. Di riflesso, ogni vissuto può postulare un senso del tutto irrelato al darsi del momento empirico. Il verde dei prati è vero a prescindere dall’arrivo della primavera: prima di concretarsi in fasci d’erba si dà nei fasci di luce degli illuminati di cui son ricche le biblioteche delle abbazie alpine, punti nodali della memoria culturale europea. E’ questo il "prius" che legittima la maternità di Anna.
Grazie a tale priorità Anna rinvia al segreto della creazione, alla sua bipolare struttura: non v’è creatura senza una sua icona. Al di fuori della rappresentazione non v’è creazione. E nella maternità intesa come prototipo della creazione, lo spazio rappresentativo si concretizza in un capovolgimento dei tempi. Questa dinamica viene fissata in modo esemplare nella composizione della vetrata gotica: l’artista vive il fiore nel ciclo inverso di corolla, stelo e radice. La densa luminosità della pittura su vetro, portata al suo vertice da Chagall, cercherà di rievocare tale lettura del mondo come genealogia delle cose, acquisendola anzi come loro unica possibile definizione. Ciò che è esiste solo in quanto è "ab initio": il presente si esaurisce nella ricostruzione idealtipica della propria genesi.
Ora, nel mondo biblico questa continua ricostruzione è un atto liturgico: ricostruire è ringraziare. La ricostruzione genealogica esprime la riconoscenza con cui viene accettata la creaturalità che l’uomo vive ed articola: la genealogia è un criterio di realtà. La memoria cultuale neutralizza pertanto l’antitesi, tutta tardottocentesca, tra natura e storia. Anna vive in questo spazio, univocando il senso specificamente ebraico della matrilinearità - senso nascosto di una storia pensata solo per essere dialogata.
L’ebrea Anna non conosce analogie tra le altre memorie etniche: la sua vicenda non rientra nella storia "universale" del matriarcato. E’ triste che il geniale Bachofen, il massimo storico del matriarcato legga in termini riduttivi la matrilinearità biblica. Ed è al contempo significativo: anche all’acme della sua produzione -nella Basilea di Bachofen, Burckhart e Overbeck- il liberalismo teologico ignora la grammatica di quel rapporto, tanto umano da esser solo ebraico, che vincola la matrilinearità alla struttura narrativa della mistagogia.
Le nostre matriarche (da Sara fino ad Elisabetta) sono figure di un dramma incomprensibile nell’ambito della narrazione storicistica. La matrilinearità biblica occupa uno spazio mnestico che è parte costitutiva del titolo messianico. Quando nel mondo intratestamentario le genti fanno proprio questo titolo e lo celebrano come il primo e il più sublime dei titoli cristologici, vivono la scoperta come un’esperienza della transizione dal grembo del buio p ...[continua]

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