Cara Barbara,
è la notte di Pasqua. La televisione ha appena trasmesso le prime immagini dei massacri che le milizie serbe stanno compiendo in Kosovo. Altre immagini ci mostrano decine di migliaia di profughi ammassati in strisce di terra delimitate da militari. C’è chi muore per il freddo. Un bicchiere d’acqua e un pezzo di pane significano salvezza, o meglio, sopravvivenza. In questo momento Belgrado e non so quali altri obiettivi sono sotto le bombe della Nato.
E’ possibile, in questa circostanza, provare a fare un discorso pacato, di merito, sul problema? E’ molto difficile, ma è quello che voglio provare a fare. E’ un lusso che a questi chilometri di distanza ci possiamo -e forse anche dobbiamo- permettere.
Nominerò diverse volte Langer, non per giustificare una posizione pro o contro intervento (mi ha dato fastidio chi ha citato parte di una frase per giustificare i bombardamenti, cancellando in un colpo tutta la sua storia e il travaglio che erano a monte di una posizione che chiedeva un intervento, in un preciso momento e a determinate condizioni, tra cui il mandato Onu, come mi ha dato fastidio chi ha citato il Langer costruttore di ponti per opporsi in maniera netta all’intervento armato, dimenticando la sofferta posizione a proposito della Bosnia), ma per riprendere un nodo di riflessione che è politico e che riguarda tutta l’area pacifista e nonviolenta. Uno dei nodi principali che Langer ci ha lasciato, sul quale la riflessione e la discussione fino ad oggi è mancata, ma che non è più rimandabile.
E’ possibile, è giusto, o meglio, può essere necessario ricorrere alla forza delle armi in determinate circostanze?
La domanda non è nuova nel mondo della sinistra e neppure nell’area pacifista in genere, ed è stato risposto di sì, a precise condizioni (rivoluzione, teologia della liberazione, subordinazione ad un diritto internazionale ecc.).
Questa domanda però diventa devastante, in quanto tabù, in un’area nonviolenta più ristretta e radicale di cui Langer faceva parte e alla quale sicuramente io, ma penso anche tu, facevo riferimento (Azione Nonviolenta, Loc, Aam Terra Nuova, Campagna Osm, ecc.). E’ una domanda devastante perché mette in gioco tutta la ricerca e la radicalità del pensiero. Come conciliare un possibile sì con l’obiezione di coscienza alle spese militari? Se a volte le armi possono servire, perché non finanziarle? Perché riconvertire l’industria bellica? Ecc. ecc.
Infatti finora la risposta è stata categorica: no, il ricorso alle armi non può mai essere giusto.
Langer con la sua esperienza nella ex Juguslavia ha rotto questo tabù:
"Ecco perché occorre una credibile autorità internazionale che sappia minacciare ed anche impiegare -accanto agli strumenti assai più importanti della diplomazia, della mediazione, della conciliazione democratica, dell’incoraggiamento civile, dell’integrazione economica, dell’informazione veritiera- la forza militare, esattamente come avviene con la polizia sul piano interno degli stati" (Il viaggiatore leggero, pag.284).
"Allora si dovrà aumentare consistentemente il numero e il mandato delle forze internazionali in Bosnia e confidare loro il compito non più di osservare e testimoniare soltanto, ma di liberare effettivamente gli accessi alle "zone protette" e proteggere realmente le città e le ragioni della convivenza (...)
Nelle condizioni attuali, tuttavia, l’Onu dovrà chiedere a chi può -la Nato in buona sostanza- di svolgere tale compito. E non c’è ragione perché paesi come l’Italia o la Germania se ne sottraggano, se richieste dalle Nazioni Unite (Il viaggiatore leggero pag. 317).
Davanti a queste semplici, ma sofferte affermazioni c’è chi ha fatto finta di non sentire. C’è chi sostiene che è arrivato a dire questo perché stava male. C’è chi, addirittura, pensa e dice che Langer si sia ucciso per essere arrivato a queste conclusioni. Trovo queste osservazioni quanto meno superficiali, se non addirittura stupide e offensive nei suoi confronti.
Come uscire quindi da questa contraddizione?
Io credo che ci può aiutare un altro concetto caro all’area eco-pacifista : il concetto di limite.
I nonviolenti non devono rinunciare alla loro carica utopica, profetica. Devono però imparare ad accettare i limiti che la Storia impone loro ...[continua]
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