Non ho avuto con Primo Moroni, e neppure con la sua libreria, "la Calusca" -prima in corso di Porta Ticinese e poi in via Conchetta, a Milano- una frequentazione assidua; eppure ho sempre pensato di conoscerlo bene, e che ci fosse tra noi un’amicizia profonda, mai interrotta da vent’anni ad oggi. Attribuisco la simpatia e il senso di familiarità, che si rinnovavano ad ogni incontro, ad alcune somiglianze molto concrete, e forse per questo così durature; l’origine contadina, l’amore per il ballo e, soprattutto, lo sforzo e il piacere di dare continuità a tutto ciò che ci aveva appassionato negli anni ’70. Tra le tante persone che ho conosciuto, Primo è stato uno dei pochi a conservare inalterato uno "spirito di movimento", che significa per me sapersi radicare nei luoghi, nelle relazioni quotidiane, senza perdere la tensione verso un allargamento delle proprie convinzioni; una collettività che sa dove poggia i piedi, ma capace di vedere in lontananza, di mostrare somiglianze nelle situazioni più diverse. E’ quello che, con una brutta espressione, veniva chiamato negli anni ’70, il "lavoro di base", presupponendo che ci fosse un "vertice", un centro unificante e direttivo da qualche parte. Fortunatamente qualcuno, per sensibilità, storia personale o consapevole scelta antiautoritaria, intendeva per "base" la collocazione che meglio consentiva di combattere il leaderismo, le gerarchie, il riprodursi del potere in tutte le sue forme. L’ "egualitarismo", inteso come "relazione di uguaglianza tra non uguali" -far in modo che non ci sia perdita di potere dell’uno a favore dell’altro, divisione tra chi esercita il potere e chi ne è escluso- è stato in alcuni casi molto più che un’ "utopia": è diventato il "qui e ora" di un agire politico impensato, la ricerca di "alternative" nel presente, la costruzione lenta di un rapporto individuo-collettivo sconosciuto alle politiche istituzionali, che chiedono appartenenza, delega, attese fideistiche.
Primo, anche se so poco della sua storia politica, dal Pci alla sinistra extraparlamentare, si muoveva di fatto, per quanto era dato vedere dall’esterno, in questa direzione. Lo testimoniano tutte le sue iniziative: la libreria Calusca, le attività culturali del centro di via Conchetta, le riviste e, soprattutto, la capacità di gettare un ponte tra generazioni diverse, senza ideologie e smanie direttive.
Quando ci siamo incontrati nella sede di Radio Popolare, circa un anno fa per una trasmissione sul ’77, ho avuto ancora una volta, confrontando le sue parole con quelle di altri intellettuali intervenuti al dibattito, la conferma che c’era in lui una qualità politica diversa, un legame evidente tra la cultura e la vita, tale da rendere i suoi pensieri "caldi", pieni di riferimenti a rapporti reali, quotidiani, gravati da quell’impasto ibrido che formano insieme l’esperienza e le letture quando procedono di pari passo. Ho pensato che, al di là dei differenti percorsi che avevamo fatto, lui attraverso i movimenti giovanili, i centri sociali, io nel femminismo, ci accomunava un’idea di "politica radicale", quella "passione", come diceva Marx, che va a scavare "alle radici dell’uomo", che non disdegna di pronunciare la parola "umanità" solo perché storicamente è sembrato un retaggio delle forze conservatrici. Forse è per questo filo comune che, quando mi è venuto il desiderio, nella primavera scorsa, di ripubblicare "L’erba voglio" e di fare un convegno su Elvio Fachinelli, ingiustamente dimenticato come gran parte del movimento antiautoritario, sono andata prima di tutto a parlare con lui. Del resto proprio in occasione dell’uscita del libro L’orda d’oro, curato da lui e Nanni Balestrini, ci eravamo incontrati, insieme con Elvio due anni prima della sua morte, avvenuta nel 1989, per preparare una breve raccolta di frammenti della rivista, da inserire nel libro, un progetto poi abbandonato per ragioni editoriali.
E’ stata così forte la tentazione di vedere in Primo la continuità col passato da non voler registrare i cambiamenti che potevo supporre o riconoscere nella sua vita personale, come nelle sue attività culturali e politiche. La sua malattia mi ha colto di sorpresa, tanto da dover nascondermene la gravità fino alla notizia della sua morte. Mi piaceva, e credo sia capitato a tutti quelli che come me hanno avuto con lui un’amicizia superficiale e profonda nello stesso tempo, sapere che c’era, che avrei potuto trovarlo, solo che ne avessi voglia, al medesimo posto, ...[continua]

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