Karl Kraus (1874-1936), l’autore che nel corso della guerra 1914-18 fu capace di scrivere un’opera teatrale ma teatralmente irrappresentabile come Gli ultimi giorni dell’umanità, cominciò a pubblicare in una Vienna “belle époque” e morì quando da tre anni Hitler era al potere. Da lui impararono e di lui scrissero saggisti come Walter Benjamin, Theodor Adorno, Elias Canetti. Era letto da Thomas Mann e da Kafka, e certo il giovane Brecht non lo ignorava. Nella tradizione della prosa tedesca di tipo aforistico, nel Novecento Kraus è stato il più decisivo dei maestri, avendo rinnovato, o meglio rifondato, uno stile che da Nietzsche e Heine risaliva all’illuminista Lichtenberg. La sua influenza è arrivata fino a un angry young man anni Sessanta come Hans Magnus Enzesberger, l’autore della Fine del Titanic (1978), poeta-saggista i cui versi e la cui prosa hanno qua e là un sapore e un taglio krausiani.
Il grande tema di Kraus è come parlare di un’epoca che deve assolutamente essere giudicata, un mondo sociale della cui criminosa ipocrisia non si può tacere, eppure sembra impossibile parlarne inventando un linguaggio adeguato: meglio lasciare il più possibile la parola alla realtà, meglio citare le sue stesse parole, che valgono spesso di per sé come la più lampante autodenuncia.
Il genere letterario di Kraus, suo e di quasi nessun altro, è la “satira apocalittica”, la satira che si può praticare quando nulla è più satiricamente eloquente di ciò che si dice e di ciò che accade. È la ragione per cui tutta l’opera di Kraus è intessuta di citazioni, rispetto alle quali l’autore non può che aggiungere le glosse necessarie a indicare che “le apparenze non ingannano”, anzi dicono tutto. La sfrenata passione di Kraus per l’aforisma è la passione per quel minimo di parole che siano capaci di mettere a fuoco la realtà fino a incenerirla.
Vedo ahimè (Dio me ne guardi) che cercando di introdurre alla lettura di un tale autore, descrivendolo in via preliminare, finisco per offrirne una pallida imitazione. Il modo migliore di parlare di Kraus è leggerlo.
Data la vastità della sua opera, le annate della rivista, “Die Fackel” (La Fiaccola), che scrisse quasi interamente da solo a partire dal primo numero uscito nel 1899 fino all’anno della sua morte, la cosa più pratica è esibire alcuni dei suoi aforismi (mi servo della raccolta Detti e contraddetti a cura di Roberto Calasso, il montaggio è mio):
“Il superuomo è un ideale prematuro, che presuppone l’uomo”.
“La vita famigliare è un’interferenza nella vita privata”.
“Le istituzioni umane devono diventare anzitutto così perfette da permetterci di riflettere indisturbati su quanto sono imperfette le istituzioni divine”.
“Prima ci si protegge dall’infanzia, poi si protegge l’infanzia!”.
“La relazione amorosa non restò senza conseguenze. Lui mise al mondo un’opera”.
“La cultura gli sta appesa addosso come a un manichino. Studiosi di quel genere sono, nel caso migliore, delle modelle alla sfilata del progresso”.
“Un tempo il calzolaio aveva un rapporto personale con i suoi stivali; oggi il poeta non ne ha nessuno neppure con le sue esperienze”.
“Un tempo le scene erano di cartone e gli attori erano veri. Oggi le scene sono al di là di ogni possibile dubbio, gli attori sono di cartone”.
“Conoscere i poeti di persona non è sempre augurabile. Soprattutto non sopporto i sonnambuli che cascano sempre dalla parte giusta”.
“Ci sono due specie di scrittori. Quelli che lo sono, e quelli che non lo sono. Nei primi forma e contenuto stanno insieme come anima e corpo, negli altri forma e contenuto vanno insieme come corpo e vestito”.
“Se si legge uno dei suoi saggi mitologico-politici si impara a odiare la cultura più di quanto non sia strettamente necessario”.
“Ci sono imbecilli superficiali e imbecilli profondi”.
“Si può scrivere un intero libro su qualcuno che vale zero, a cui si farebbe troppo onore liquidandolo con una riga”.
“Le opinioni giuste non hanno valore. Ciò che importa è chi le ha”.
“La bruttezza del presente ha valore retroattivo”.
Lascerei volentieri il lettore libero di commentare da sé, fra sé e sé, ognuno di questi aforismi masticandolo lentamente. Ma non resisto alla tentazione di dire qualcosa in proposito, magari rischiando di rovinare tutto. Non è solo la vita famigliare a essere un’interferenza nella vita privata di ognuno, anche un commentatore interferisce indiscretamente fra il testo e il lettore. Ma la nostra società-cultura è diventata così metodicamente, invasivamente esplicativa e didattica che l’intellettuale (diciamo così) che non mostri la sua protettiva, paternalistica professionalità finisce per deludere il pubblico e per apparire un fannullone, un disertore, uno scioperante.
La società-cultura di primo Novecento che Kraus prende di mira, in una Vienna coltissima e mondana, sotto un regime imperial-regio il cui apparato burocratico era onnipresente e in cui la borghesia aveva ormai conquistato, con i suoi giornali e i suoi commerci, con la propria mentalità farisaica la vita pubblica, privata e perfino inconscia di tutti, è una cultura per Kraus ornamentale che falsifica e maschera anzitutto con il linguaggio che usa. Intellettuale ebreo-boemo di lingua tedesca (come Kafka, che era di dieci anni più giovane), Kraus sceglie di istinto un punto di vista aristocraticamente antisociale, misantropico, estremisticamente liberale, culturalmente anarchico. Si tiene lontano dal discorso direttamente politico, ma la sua critica culturale ha valore politico perché la politica non è altro, per lui, che una patologia culturale e sociale fra le altre.
È fin troppo chiaro che con i suoi aforismi Kraus mette alla prova, a volte a dura prova, la capacità del lettore di capire. Ma per capire ci sono due modi opposti e identici: in un lampo, in un attimo, oppure nella lunga durata di un rimuginio che scoprirà lentamente le innumerevoli implicazioni e applicazioni e deduzioni ricavabili anche da una sola frase, da una sola riga. L’impressione è comunque che una verità viene scoperta quasi sempre scoppiando a ridere. E questo fa parte dello spirito satirico. Ma se è vero che quella di Kraus è “satira apocalittica”, questo significa che a certe verità non c’è rimedio che non sia individuale e puramente mentale. La critica di Kraus non è pragmatica, non promette né prevede riforme del costume sociale: si limita a incrementare la sensibilità per la distinzione fra vero e falso. Prendiamo ad esempio i più brevi fra gli aforismi appena citati. Nel primo sembra proprio che Kraus abbia deciso di scavalcare Nietzsche all’indietro con una sola mossa, mostrando l’inanità del più ambizioso progetto nietzschiano, quello del Superuomo che dovrebbe risolvere in avvenire i problemi dell’uomo. Il fatto è, suggerisce Kraus, che l’uomo è ben lontano dall’aver realizzato sé stesso, e anzi continua a lavorare bene proprio in senso contrario, verso la sua degradazione. Infatti in un altro aforisma si legge: “l’umanità diventa sempre più stupida per favorire il progresso meccanico”, il quale sembra che non possa crescere senza che cresca la stupidità di chi lo promuove. Kraus quasi sempre si mostra fiero soprattutto di una cosa: di aver messo in una frase quello che altri mettono a stento in un libro. La cultura è diventata un enorme spreco di parole per comunicare un significato minimo, tradendo così il potere che si può sprigionare dalle poche parole strettamente necessarie.
L’ultimo degli aforismi citati contiene un’immagine che dà le vertigini: “La bruttezza del presente ha valore retroattivo”. Sul momento si nota qualcosa di non del tutto perspicuo. Che significa bruttezza? Che significa retroattivo? Molte cose, credo. Propongo un’interpretazione estensiva. “Bruttezza del presente” contiene implicitamente varie cose negative: brutta situazione, cattivo gusto, ottusità, corruzione, sopraffazione e tutto ciò che nel presente c’è di “brutto”. Ma perché il presente sarebbe “retroattivo”? Mi sembra che l’idea di Kraus sia che il passato non resta indenne se il presente peggiora. Il valore del passato, il suo significato siamo noi oggi a determinarlo e deciderlo. La storia è nel presente nient’altro che ciò che il presente è in grado di vedere, trovare, riconoscere, ereditare, riscattare, liberare, correggere. Se il presente è brutto, fa diventare brutto anche il passato: lo fa somigliare a sé stesso.
Nel corso della vita di Kraus il presente divenne sempre più brutto, cosa di cui lui si era subito accorto. Scrisse infatti Gli ultimi giorni dell’umanità durante la Grande guerra e quando nel 1933 Hitler conquistò il potere, Kraus vide in lui la potenza infernale del moderno nulla e scrisse: “Su Hitler non mi viene in mente niente”.
L’epidemia da Coronavirus, che, all’inizio, in Italia, ha colpito soprattutto la Lombardia (47.520 positivi il 04/04/2020,), l’Emilia (15.932), il Piemonte (10.896), il Veneto (11.464), e che ora colpisce tutto il mondo, ha messo alla prova le capacità del Sistema sanitario nazionale. Le capacità, nell’emergenza, sono risultate appena adeguate. Le attrezzature per la rianimazione, i ventilatori per i pazienti in terapia intensiva, sono stati appena sufficienti. L’esito non è stato sicuro fino alla fine. Non ci sono stati malati non curati e lasciati soffocare. Sembra chiaro però che non ci sono eccedenze su cui contare nell’emergenza. Il Ssn è stato trattato come un’azienda, spinto a realizzare il just in time per i malati come se fossero automobili, che certo non sono.
Penso si possa dire che, malgrado l’attacco diretto cui è stato sottoposto negli ultimi anni, il Sistema sanitario nazionale ha retto, anche se a fatica, con l’eccezione, forse, della Lombardia. Ma non ci sono più margini di sicurezza. Ha retto perché ha retto la motivazione, l’etica professionale, la tenuta delle persone che ci lavorano. Invece è tendenzialmente inadeguata la capacità delle istituzioni pubbliche, Regioni e Governo, di procurare in tempo le risorse. Il Ssn mostra oggi gli effetti dei tagli dei finanziamenti, e quindi degli ospedali, dei letti, dei medici, realizzati negli ultimi anni. Potrebbe non reggere alla prossima emergenza, che purtroppo non si può affatto escludere. Può darsi che questo sia solo l’inizio dell’epidemia, che il contagio si allarghi ad altre regioni, che ci sia una seconda ondata. Siamo tutt’altro che fuori pericolo.