Marko Vesovic è uno scrittore montenegrino che vive a Sarajevo, dove è rimasto per tutta la guerra. In italiano è stato tradotto il libro Scusate se vi parlo di Sarajevo di Sperling&Kupfer. L’abbiamo intervistato in occasione della sua breve permanenza in Italia come consulente per un film italiano su Sarajevo.

Quello che Milosevic fa in Kosovo non è che la continuazione di quello che ha fatto in Bosnia...
Una cosa importante da precisare quando si parla di Milosevic è il fatto che lui non riesce a governare diversamente. La guerra è per lui un modo per mantenersi al potere e continuare la vita politica. La sua comparsa sulla scena politica nell’87 ha messo paura a tutti i popoli della Yugoslavia perché l’hanno avvertito veramente come un pericolo. E lui non lo nascondeva. Lui ha fatto crescere Tudjman, perché i croati hanno avuto paura di un nuovo dittatore. Lui aveva come primo obiettivo la Yugoslavia, voleva essere un nuovo Tito e i croati hanno votato di conseguenza il politico croato più duro, che potesse affrontarlo. Volevano avere anche loro un Milosevic. L’unico modo oggi per fare funzionare l’ex-Yugoslavia è eliminare Milosevic. Politicamente, oppure anche fisicamente, che sarebbe meglio.
Già dal tempo della guerra in Bosnia i serbi si sentono sempre le vittime, anche mentre i loro soldati torturano e uccidono i prigionieri, violentano le donne, deportano le popolazioni. Come lo spieghi?
Io conosco i croati, i musulmani, i serbi come conosco me stesso. Ho sempre considerato tutta la gente che parla la mia lingua come il mio popolo. Il mio paese spirituale si trova proprio nell’unità linguistica, il che mi fa sentire non solamente montenegrino, ma anche serbo, croato, musulmano. C’erano differenze, ma sempre all’interno di un’unità. Da quando è salito al potere Milosevic è riuscito a inventare queste differenze e a fare di questo popolo una macchina per uccidere. Lui solo aveva le armi, gli altri non ne avevano, gli altri si sono armati durante la guerra. Ma come ha fatto a convincere i serbi normali ad usare le armi e ad uccidere il proprio vicino? Facendo ricorso alla storia. Convincendo i serbi che erano le vittime permanenti, sempre e solo vittime, dalla battaglia di Kosovo Polje fino a oggi. La maggioranza dei serbi ha finito per convincersi che sgozzare gli altri era necessario per difendersi dalle "atrocità" degli altri. La guerra in Bosnia veniva definita in Serbia "guerra antigenocida". In lingua popolare questo suona come: "uccidiamoli, prima che loro uccidano noi". Con una campagna al limite del lavaggio del cervello Milosevic ha attivato questo mondo mitologico: i canti popolari, la storia della prima e della seconda guerra mondiale in chiave serbocentrica, la paura dei complotti dei vicini. E li ha così convinti che erano da sempre le vittime e che era giunto il momento di difendersi. Così ha trasformato un popolo normale in un popolo malato.
Oggi ci chiediamo se i serbi sanno del Kosovo. Si dice che durante l’assedio di Sarajevo i serbi non sapevano chi è che stava assediando la città. Tu cosa ne pensi?
Noi abbiamo scherzato spesso sulla questione di chi stesse sparando su Sarajevo. I serbi in Serbia si chiedevano veramente chi stesse sparando su Sarajevo.
In verità chi a Belgrado voleva sapere chi stesse sparando, lo poteva sapere. Io ho un cugino a Belgrado che mi disse che chi diceva di non sapere chi stesse sparando su Sarajevo mentiva: "Noi a Belgrado sappiamo molto di più di voi sarajevesi, su che cosa accade a Sarajevo, perché abbiamo le antenne satellitari e la nostra televisione". A Belgrado esisteva anche radio B92 e loro potevano sapere e dire tutto. La stessa cosa accadeva anche a Novi Sad. Ma il resto della Serbia effettivamente non aveva un’idea di ciò che accadesse a Sarajevo. E quel contadino serbo si chiede tuttora che cosa sia successo a Sarajevo. Lui guarda la tv di Milosevic, legge i suoi giornali e non sa niente..
Cosa pensi dell’intervento della Nato contro la Serbia?
Ho sempre pensato che fosse troppo tardi. Se la Nato avesse colpito Milosevic nel ’92 tutto sarebbe cambiato. Milosevic è oggi con le spalle al muro, e non ha vie di scampo. Se lui avesse firmato il trattato di Rambouillet si sarebbe messo la corda intorno al collo. Lui poteva scegliere la sua morte politica o la sofferenza e la distruzione del popolo serbo e ha scelto la seconda possibilità. Nel ’92 Milosevic aveva molte altre vie d’uscita. Allora i serbi erano ancora in Croazia ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!