Massimo Toschi insegna storia e filosofia al liceo scientifico Vallisneri di Lucca. E’ coordinatore del Progetto pace della provincia di Lucca. Ha pubblicato diversi libri, tra cui Don Lorenzo Milani e la sua chiesa (Polistampa, Firenze) e Come agnelli in mezzo ai lupi. Teo-logia e profezia della pace (Emi). Nel 1998 è stato tre volte in Algeria.

Direi che questa storia ha un passato remoto e un passato prossimo. Il passato remoto è stato, nel 1996, la vicenda dei sette monaci di Tibhirine, il loro sequestro e il loro assassinio, il testamento di frere Christian. Questi fatti mi spinsero a far venire il vescovo di Algeri, Henry Teissier, in Italia, per un convegno della rivista missionaria con cui collaboro, "Missione oggi" .
Nello stesso tempo volli proporre a Cesare Garboli, presidente del Premio Viareggio, di conferire il Premio Versilia per la pace a Robert Fouquez, l’unico monaco sopravvissuto.
Mi sembrava bello e giusto dare un premio per la pace a questo monaco che tiene aperto un incredibile luogo di dialogo, di pace, di incontro delle grandi tradizioni spirituali del Mediterraneo. Cesare Garboli accettò e padre Robert venne a ritirare il premio il 30 agosto 1997, con Teissier.
Per quelle strane vie della vita, la notte del 31 agosto ci fu il terribile massacro di trecento persone alla periferia di Algeri. La gioia di quell’incontro si mischiava con la tragedia di quanto stava avvenendo in quel paese. Sentivamo di dover fare qualcosa. Teissier propose alla Provincia di Lucca un gemellaggio con Medea, proposta che a noi appariva particolarmente suggestiva, perché proprio nella provincia di Medea c’è il monastero di Tibhirine. E da lì è cominciata la storia. Dopo la proposta di Teissier abbiamo scritto al wali di Medea per fargli la proposta, ma non abbiamo ricevuto risposta.
Ci appariva comunque sempre più chiaro che non era possibile pensare, mettere in piedi qualche iniziativa, senza andare a vedere cosa c’era, quale realtà potevamo aiutare. Così decidemmo di andarci. Siamo partiti a fine marzo 1998. Eravamo in tre: Andrea Tagliasacchi, presidente della Provincia di Lucca, mia moglie ed io. Siamo partiti senza sapere dove si andava, senza un programma. L’ipotesi di Teissier era che l’importante era partire, poi avremmo visto.
Siamo andati perché avevamo chiarissima la percezione che degli amici ci chiamavano. Quando un amico chiama non si può dire di no e l’amicizia copre ogni pericolo. Siamo andati molto tranquilli da questo punto di vista, anche se portavamo un po’ dentro l’ottica di come l’Algeria era sempre stata presentata. E del resto durante quel Ramadan del 98 c’erano stati mille morti. Si andava in un paese che aveva vissuto una specie di elettrochoc di dolore, un paese dove la sicurezza di tutti è a rischio, su questo non c’è dubbio, però siamo andati tranquilli, anche se non avevamo nessuna intenzione di andare in giro blindati.
E’ stato un viaggio importante. Innanzitutto perché abbiamo visto che non c’è un paese blindato, piegato, ma anzi hai la sensazione di un paese dove lo stesso condurre la vita quotidiana è frutto di una scelta di coraggio. E non si tratta di una scelta scontata: per ciascuno che ogni mattina esce di casa, va a fare il suo lavoro, o va a scuola, o all’università è una scelta di straordinario coraggio ordinario. Soprattutto quello delle donne, che rischiano di più. E’ una cosa che proprio si vede, si sente, senza fare analisi troppo complicate, è visibile a tutti. E’ un eroismo di ogni giorno, vissuto senza retorica, senza enfasi.
Abbiamo visto delle cose bellissime. Algeri è una splendida città, che abbiamo girato in lungo e in largo, in tutti i suoi quartieri, anche quelli più segnati come Bourouba e Dar Al Beida; e poi siamo stati fuori a cena la sera. E abbiamo visto delle esperienze straordinarie di società civile. A Bourouba abbiamo visitato un centro per bambini e ragazzi handicappati gravi e medi, dai 5 ai 18 anni. In un quartiere poverissimo, dove la tensione sociale si tocca fisicamente, gli operatori fanno cose splendide con pochissimi mezzi e una qualità professionale altissima. Abbiamo visitato una scuola di cucito per ragazzine di 12, 13 anni che, per il solo fatto di uscire di casa per andare a imparare una professione, rompono una delle regole stabilite dai terroristi, quella che le donne devono stare in casa. Anche questo è un atto di coraggio, è un atto di emancipazione.
Siamo andati ad Hadjout, a visitare il nido di Temi e Ja ...[continua]

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