Francesco Raiola, 29 anni, laureato in scienze della comunicazione, lavora ad AgoraVox Italia.


Siamo tornati a Napoli lo scorso 28 giugno e dopo dieci giorni la mia compagna ha scoperto di essere incinta. Eravamo partiti per la Francia due anni prima, nell’estate del 2008. Francesco Piccinini, il fondatore di AgoraVox Italia, mi aveva proposto di salire a Parigi. Anche lui è napoletano, abbiamo studiato assieme, all’epoca avevamo entrambi 26 anni. Insomma, era una bella sfida, così siamo partiti: Angela, io e il gatto. In treno, tra l’altro, sempre per risparmiare... Ci piaceva l’idea di fare un’esperienza all’estero e poi io qui a Napoli facevo molti lavoretti, ma tutti all’insegna della precarietà. Non si vedevano sbocchi. Ora, non è che la Francia sia il Bengodi, però il welfare francese è sicuramente un’altra cosa. Nonostante anche lì la disoccupazione sia in aumento e ci siano tanti problemi, c’è un occhio di riguardo verso le famiglie. Non ho mai visto tanti giovani sotto i trent’anni con figli in braccio, passeggini... Per le giovani coppie sono previsti sgravi e riduzioni. E non occorre essere sposati, anche la convivenza ti consente di raggiungere un certo punteggio, che aumenta se sei "pacsato”. La Caf, l’ente che si occupa dei contributi per la casa, ci passava metà dell’affitto di Parigi. E noi non eravamo né sposati né niente, ma semplicemente conviventi.

Certo, poi a Parigi tendenzialmente la vita è più cara, però è anche una città che ti permette di uscire a zero euro... Abbiamo resistito un paio d’anni. Alla fine si sono sommati un po’ di problemi. Intanto dovevamo lasciare l’appartamento dove abitavamo e il cambio si presentava più oneroso, poi paradossalmente abbiamo scoperto che per Angela era più facile trovare lavoro a Napoli, dove aveva la sua associazione di antropologi. Insomma, diversi fattori ci hanno portato a tornare in Italia. Per me c’era anche l’ipotesi di misurarmi sul progetto, ambizioso, di portare AgoraVox Italia, che alla fine è un giornale fatto da due napoletani, nella sede di Scampia. Noi siamo un quotidiano partecipativo, quindi l’idea fondante è di dare a tutti, non solo ai professionisti, la possibilità di entrare a far parte del circuito dell’informazione. È un concetto di cittadinanza attiva che c’interessa. E quindi siamo partiti di nuovo. Questa volta per tornare. Se era previsto il bambino? Diciamo che ne parlavamo tanto. Considera che stiamo assieme da dieci anni. Quella a Parigi era stata la nostra prima convivenza ufficiale. A Napoli infatti, prima di partire, io vivevo ancora con i miei e lei era qui come fuori sede. Non vivevamo assieme perché io non avevo la possibilità di pagare un affitto: un mese potevo guadagnare mille euro e quello dopo duecento. Insomma, mancavano proprio le condizioni materiali. In Francia in qualche modo avevamo cominciato a viverci come famiglia. Il discorso bambino ne apre tanti altri. Innanzitutto quello della precarietà lavorativa e, se vuoi, anche abitativa. Noi la casa non l’abbiamo comprata, non avremmo mai potuto permettercela perché serviva quel capitale iniziale che non abbiamo, né vogliamo chiedere ai nostri genitori. E poi c’è la precarietà del lavoro, che per me è di tipo specifico, cioè ad AgoraVox abbiamo uno stipendio fisso mensile, però sappiamo già adesso qual è la deadline, cioè fin quando ci bastano i soldi, quindi siamo sempre alla ricerca.

La pubblicità aiuta, ma non permette il sostentamento del sito. Per integrare abbiamo messo in piedi diverse collaborazioni, l’anno scorso abbiamo lavorato con il premio Ilaria Alpi, abbiamo fatto una scuola di giornalismo per ragazzi della provincia di Roma. Fortunatamente sono tutte cose che ci piacciono; resta il fatto che ci dobbiamo continuamente inventare qualcosa. Tra l’altro, siccome in redazione siamo in due, nel momento in cui io sono impegnato a svolgere un progetto, rimane solo Francesco; ugualmente, se lui va a fare qualcosa rimango solo io e il lavoro raddoppia. Angela lavora anche lei a progetto, quindi alcuni mesi c’è di più, altri di meno. Questa è la nostra situazione. Per un po’ ci siamo guardati e ci siamo detti: non possiamo, non ce la facciamo. Poi alla fine che fai? In Italia siamo al 30% di disoccupazione giovanile, che facciamo? Smettiamo di fare bambini? Prima sentivo sempre dire: "Se sei precario non fare figli”. È una cosa di cui abbiamo discusso tanto, però alla fine la questione è una: va bene, siamo precari, saremo mai ...[continua]

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