Davide Mazzon è Direttore dell’Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione e del Dipartimento Chirurgico dell’Ospedale di Belluno. Ha coordinato la Commissione di Bioetica della Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva ed è membro del Comitato per la Bioetica della Regione Veneto.

Oggi medici e sanitari hanno a disposizione mezzi e conoscenze sempre più sofisticati, dall’altra parte però si trovano ad aver a che fare con cittadini-pazienti che vogliono condividere e partecipare alle scelte sanitarie che li riguardano.
Si tratta di uno scenario inedito rispetto al passato, che poggia su due pilastri fondamentali. Il primo è l’informazione e il consenso all’atto medico. Io parlo di una “camera di compensazione” fra due autonomie, quella del medico e quella della persona malata, in cui va ricercata la condivisione delle scelte, che non possono essere imposte né dal medico alla persona malata né dalla persona malata al medico. Io sono profondamente contrario al fatto che il medico debba sottostare a richieste bizzarre e non suffragate da evidenze scientifiche. Altrettanto sono contrario al fatto che il servizio sanitario debba erogare cure di cui non è comprovata l’efficacia scientifica (penso al caso Di Bella). Una scelta quindi che non può essere imposta né dal medico al paziente, né dal paziente al medico, ma soprattutto non può essere imposta da autorità morali esterne né tantomeno da leggi dello stato.
Il secondo pilastro, strettamente correlato al primo, è che il dovere medico di intervenire trova un limite invalicabile nel rifiuto di cure espresso dalla persona malata, rifiuto che deve essere libero, informato, consapevole.
L’unica eccezione, abbastanza frequente nel campo dell’emergenza-urgenza, è quella della necessità di erogare cure a persone di cui non sono note le volontà e di cui non è nota la patologia, ma che si trovano in pericolo di vita. In questi casi sarà nel prosieguo dell’evoluzione clinica che si dovranno recepire le volontà del paziente e adottare dei criteri di appropriatezza clinica.
Questi due pilastri, che sono ben consolidati all’interno del nostro sistema legislativo, giuridico e di deontologia medico-infermieristica ci permettono oggi di affermare che nel nostro paese il diritto all’autodeterminazione, il diritto cioè a decidere per sé in coerenza col proprio piano di vita, rappresenta il nucleo centrale del concetto stesso di “dignità umana”.
Oggi tuttavia si chiama in causa questo termine sia per esprimere una forte carica di rispetto per l’autonomia e i diritti della persona, sia per sostenere la pretesa di un controllo sulla persona in nome di valori che si vogliono imporre agli individui. Dignità è pertanto una parola su cui oggi forse sarebbe il caso di fare chiarezza ogni qualvolta la usiamo. Per me dignità significa capacità di decidere per sé e riconoscimento di questo diritto.
Possiamo dire che negli ultimi vent’anni nel nostro paese è avvenuta una sorta di evoluzione silenziosa che ha permesso di dare una piena legittimazione alla supremazia della volontà della persona in ambito sanitario. Questa evoluzione ha trovato una tangibile esemplificazione nella conclusione delle vicende, dolorose, di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro. Quest’ultima, purtroppo, si è conclusa dal punto di vista della vicenda umana, ma si sta aprendo con inquietanti scenari su quello giudiziario, con l’incredibile accusa di omicidio per quanti, sulla base di una sentenza definitiva, hanno consentito che Eluana fosse lasciata morire in pace, come lei avrebbe voluto.
Anch’io, come moltissimi cittadini, mi aspettavo che la prosecuzione di questo processo di riconoscimento del principio di autodeterminazione fosse una legge assolutamente civile sulla fine della vita, con la possibilità di far sentire la voce della persona malata dopo la perdita della capacità di esprimersi e anche di tutelare il medico che la rispetta.
Purtroppo invece quello a cui stiamo assistendo, pressoché impotenti, come operatori sanitari e come società civile, è che il parlamento sta discutendo un disegno di legge che sembra proprio fatto apposta per negare quei diritti che sono scolpiti nella nostra costituzione, in primis il diritto a poter rifiutare le cure.
Lei e altri colleghi avete accusato il disegno di legge Calabrò di essere portatore di contenuti antiscientifici e antideontologici e di limitare fortemente il diritto all’intangibilità del corpo…
Questo ...[continua]

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