Raffaele Postiglione fa il calzolaio a Napoli.

Mio padre d’origine era montatore di scarpe, poi ha incominciato a costruire le scarpe. Aveva dei dipendenti, aveva un laboratorio suo. Poi venne meno con gli occhi, e quindi dovette mollare. Io ho iniziato come montatore e macchinista, mio fratello era uno sformatore e fresatore, mia madre apparecchiatrice, cioè quella che lava le scarpe all’ultimo, c’era poi una sorella anche lei apparecchiatrice, e un’altra orlatrice. La buon’anima di mia moglie era anche lei orlatrice.
Questa è stata la passione della mia vita. Ho cambiato tanti lavori, però il mio desiderio era sempre di tornare a fare le scarpe.
Oggi raramente faccio scarpe, faccio soprattutto le riparazioni. Anche questo è un lavoro che bisogna amarlo, perché anche la riparazione bisogna inventarla, cioè non è che si piglia e si ripara. Le scarpe si possono rompere in tanti modi. Io poi conosco bene i materiali originali, non i sintetici. I sintetici, man mano cerchi di impararli.
Comunque ancora oggi quando piglio una scarpa fatta con decenza, mi innamoro, cioè la guardo, mi rammento un po’ quando lavoravo io nella costruzione. Una volta per costruire una scarpa ci volevano 6-7 persone.
Intanto c’era il modellista che faceva il modello, poi veniva il tagliatore, quello che taglia la pelle. Che poi per tagliare la pelle bisogna sapere che l’animale è fatto in un certo modo, cioè c’è il dorso, c’è la pancia, allora la destra e la sinistra della scarpa vanno ritagliati nello stesso verso della pelle, è importante. Le spanzate invece andavano a finire quasi sempre sotto, perché la pancia cede di più, sennò c’era il rischio che la scarpa potesse diventare, che ne so, una 36 e mezzo, e l’altra 36. Dopo la tagliatura, che è un buon mestiere, c’era l’orlatura, chi cuce la scarpa. Le cuciture delle scarpe sono molto particolari, per costruire le scarpe in orlatura ci vuole molta bravura, molta tecnica: prima vanno rinforzate le pelli, con gli antistrappi, dritt’e filo, lo chiamiamo noi, cioè in effetti sono delle strisce da appoggiare sotto la pelle, per far sì che questa non ceda.
Dopo l’orlatura viene la montatura, che vuol dire mettere questa pelle, orlata soltanto, chiusa davanti e dietro, sulla forma. Parliamo di un décolleté, ma lo stesso vale per un mocassino, o magari uno stivale, potrebbe essere anche aperta sul laterale, dipende... Quando si monta la scarpa, poi, va tutto sotto, e piglia la sagoma della forma. Ogni forma c’ha il suo numero, ovviamente, 34, 35, 36, fino al 46, anche 50, secondo il numero delle scarpe costruite. Fatto questo, la scarpa va chiusa sotto, con dei chiodi. O meglio prima andava chiusa con dei chiodi, perché c’era una placca di ferro, e davanti andava prima incollata e poi cucita con dello spago di cera. Lo spago veniva passato prima nella cera in modo tale che sfilava bene nelle varie cuciture. Le cuciture si potevano fare in due modi: dentro e fuori, a serpentello (un po’ come la cucitura della macchina, che fa un passo e l’altro lo frena sotto), oppure a catenelle.
Allora finché c’erano le cose naturali, l’aderenza delle colle era molto buona, se invece andiamo sui sintetici, allora vanno vulcanizzati, servono colle speciali, che vanno usate a caldo. Il naturale è diverso.
La scarpa di una volta poi aveva un cappellotto davanti, per irrigidire la punta, e il fortino dietro, che non si ammacca quando infiliamo la scarpa, e mantiene la base rigida. Fatto questo, noi abbiamo la pianta e la famice, che è libera, è solo pelle, magari fodera, sempre di pelle (la pelle di sopra si chiama tomaia, quella di dentro si chiama fodera). Prima i fortini si facevano di cuoio, adesso si fanno di un impasto di gomma e cartone, noi la chiamiamo coreacella. Quando venivano messi dei collanti, questa si induriva e diventava un corpo rigido dietro, uguale anche davanti. Poi dopo sono stati fatti di tela, che assorbe e irrigidisce uguale. Qui siamo in una tecnica antica, però, una tecnica un po’ vecchia. La costruzione moderna è tutta diversa...
Dopo fatto il montaggio, la scarpa veniva spianata con i martelli, e poi andava dal suolatore. Chi metteva le suole doveva mettere prima il tacco. All’epoca i tacchi erano di legno, venivano rivestiti di pelle, e poi venivano applicati sotto la scarpa, e poi si faceva la suola giusta giusta, che andava a coprire tutta la parte davanti della scarpa, fin sotto al tacco. E poi veniva rifilata a coltello. I coltelli erano di acciaio ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!