Paolo Perticari insegna Pedagogia generale e Filosofia della formazione all’Università di Bergamo. Ha pubblicato vari libri, l’ultimo dei quali è L’educazione impensabile. Apprendere per difetto nella rete globale (ed. Elèuthera, 2007).

Tu affermi che, oggi, all’educatore tocca il compito di “educare in un tempo di banalità del male”, ma cosa intendi con questa espressione ?
Come è noto, l’espressione “banalità del male” è stata coniata dalla filosofa Hannah Arendt, quando assistette, come inviata della rivista ‘New Yorker’, al processo ad Adolf Eichmann, che si tenne a Gerusalemme negli anni sessanta. Se si guarda con attenzione il film di Sivan e Brauman Uno specialista, che raccoglie sotto forma di documentario -e dal punto di vista della Arendt- ampi stralci del processo, si rimane colpiti, secondo me, dal fatto che Eichmann, tenente colonnello delle SS, organizzatore della macchina dello sterminio, alla fin fine è del tutto una persona normale, non ha nessuna caratteristica particolare, nessuna qualità, fosse pure la grandezza del male.
Eichmann è una persona normalissima; all’inizio del processo è un po’ più tracotante, ma poi, incalzato, comincia a mostrare, appunto, la sua assoluta normalità, si difende dicendo che erano tempi difficili, che c’era la guerra, che non si poteva non obbedire. Per Eichmann questa normalità, nella dimensione di emergenza dovuta alla guerra, ha significato proprio questo: diventare l’esperto dei trasferimenti forzati degli ebrei in Europa. Una volta acquisita tale competenza specialistica non ha fatto altro che fare il suo mestiere, cioè di non vedere oltre al proprio mestiere, i problemi di carriera, l’ufficio, ecc. La sorte toccata ad Eichmann è sembrata fino a oggi una cosa molto lontana dall’esperienza comune, tant’è che il libro della Arendt fu contestatissimo, ma non è così, perché di cose dello stesso genere se ne sono viste molte, anche in seguito, anche in altri contesti: una competenza specialistica, degli ordini, uno stato d’eccezione e poi dopo, quando ti risvegli, quando vedi le cose dopo, rimane il male compiuto, la carneficina, e chi ha compiuto queste azioni che dice semplicemente: “Io ho obbedito a degli ordini”. Fra l’altro, durante il processo, Eichmann affermò che era quasi sollevato che il suo incarico fosse quello di fare l’esperto dei trasporti e di non avere a che fare direttamente con l’ammazzamento. Aggiunge pure che vorrebbe scrivere un libro per raccontare ai giovani tutto quello che gli è successo, dice: “Noi siamo stati educati così”, ed in quel “così” sembra voler dire “Noi siamo stati educati male, siamo stati educati all’obbedienza, a obbedire ciecamente e a non vedere la nostra cecità”.
Per la Arendt, a caratterizzare Eichmann era appunto la “banalità del male”, e a me pare che questa espressione metta in luce una delle caratterizzazioni della nostra epoca. Noi, infatti, oggi siamo precisamente ancora dentro a quella cosa lì, alla “banalità del male”, in cui l’essere stati educati male coincide con la banalizzazione. Il male, anche in questo nostro tempo è appunto segnato da questa banalità, ed è questa la caratteristica che più ci deve interessare come educatori. Noi viviamo in un tempo che è caratterizzato dalla globalizzazione, dalla mediatizzazzione, dall’economizzazione selvaggia, che produce un tipo di uomo che don Lorenzo Milani chiamava “il burattino obbediente”, che è alla moda, che va allo stadio, che consuma di tutto fino a consumare se stesso nei dispositivi dell’iperproduzione. In un tempo che, in ultima analisi, non ha ancora risolto il problema della guerra. E che la guerra sia così dentro al nostro pensiero è una questione che tendiamo ad allontanare.
La guerra oggi ha assunto il nome di “giustizia infinita”, di “operazione di pace”. Dire che la guerra è un atto di giustizia è come dire che le mucche volano. Tutta la vicenda dell’Iraq, ma io aggiungerei anche tutta questa fase della globalizzazione, è intrisa da questo male banale e da questo processo di banalizzazione che ha nell’educazione uno dei suoi snodi. E non c’è democrazia effettiva dove prevale la banalità e la banalizzazione.
Un sistema di democrazia telecratica con un’educazione a sua volta trasformata in macchina banale e banalizzante, che educa nel modo che lo psicanalista Donald Wood Winnicott definisce della compliance, della acquiescenza rispetto ai dispositivi e ai meccanismi del mondo, è il terreno in cui si forma e viene formato il bu ...[continua]

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