Gabriele del Grande è il creatore del blog fortresseurope.blogspot.com che da anni tiene memoria delle vittime del Mediterraneo ed è ormai un punto di riferimento per chi si occupa di migrazioni. Ha pubblicato tra gli altri Mamadou va a morire e il Mare di Mezzo (Infinito Edizioni).

Com’è nato il blog Fortress Europe?
Ero a Roma, dove facevo un corso di giornalismo, e nella fase iniziale di precariato totale in cui bussi a tutte le porte, ho scritto un pezzo sui naufragi nel canale di Sicilia, senza grandi aspettative, semplicemente per vendere una notizia. Mi resi conto che non c’erano statistiche, non c’erano dati generali, così mi misi a cercare e mi accorsi che le notizie documentate dei naufragi erano veramente tante. Ho passato all’inizio settimane e settimane a fare noiosissime ricerche anno per anno, sito per sito nei vari archivi dei giornali, delle riviste, tentando di raccogliere questi dati e compilando questa tabellina in word che non finiva più... Così tutto è nato dalla necessità di uno spazio dove condividere queste informazioni. La frustrazione di pubblicare un articolo su un’agenzia stampa è che dopo dodici ore è come se non l’avessi mai fatto, non rimane niente, scompare dalla rete. Così decisi di creare un blog, il modo più veloce, più facile ed economico per condividere queste informazioni online. Era il gennaio 2006. All’inizio si trattava di un sito essenzialmente invisibile, nel senso che nessuno lo vedeva oltre a me. Poi a poco a poco il sito venne notato, perché era l’unico che cercava di raccogliere tutti i dati sui naufragi e le morti nel Mediterraneo. Cominciai a fare delle collaborazioni, un programma svizzero in particolare si incuriosì, mi chiamò, chiedendomi se conoscevo delle storie di qualcuno dei superstiti di questi naufragi, per raccontare dalla voce dei protagonisti cosa succedeva in quel mare, quelle traversate. Io non ne conoscevo nessuna, perché non avevo mai messo la testa fuori dal computer. Ma dissi di sì lo stesso e mi misi a cercare. Così, cercando queste persone, mi resi conto che non avevo nessuna idea fino a quel momento di quello che succedeva in mare, nel deserto, nelle carceri libiche.
Fino a quel momento per me c’erano solo i numeri. Nell’agosto del 2006, mi scrisse una email il direttore di una piccola casa editrice di Roma, l’Infinito Edizioni, che aveva visto il sito, che ormai era diventato un piccolo punto di riferimento per gli addetti ai lavori e mi chiedeva di fare un libretto con una raccolta dei dati e un paio di storie. Una cosa piccola e tascabile da distribuire. Allora io rilanciai e dissi che forse sarebbe stato meglio fare qualcosa di più, perché fino a quel momento in pochi erano andati a vedere quel che succedeva giù. E a mio rischio e pericolo, decisi di partire nell’ottobre del 2006. Avevo in tasca un numero di telefono del Marocco di un’ associazione dei familiari delle vittime del Mediterraneo che avevo trovato su Internet. E andai senza mai essere stato prima a Casablanca, senza sapere dove sarei arrivato. Attraversai il Marocco, la Mauritania, il Mali, l’Algeria, poi tornai giù in Senegal, in Marocco di nuovo, Ceuta e Melilla.
Finii i soldi, e ricordo che mandai una mail di soccorso agli amici chiedendo di darmi una mano. Per fortuna gli amici risposero, altrimenti sarebbe finito tutto lì. E con i soldi che mi mandarono continuai il viaggio in Tunisia, in Grecia e in Turchia e tornai in Italia con gli ultimi 5 euro. Ricominciai a fare il cameriere e nel frattempo scrissi il mio primo libro "Mamadou va a morire”. Intanto il sito cresceva, mese per mese, continuavo a fare viaggi, inchieste, reportage, imparando il mestiere sul campo. Si è trattato di un lungo percorso politico e personale di comprensione delle cose, una continua ricerca nella lettura delle categorie e anche una ricerca del linguaggio, dell’approccio con cui raccontare le cose.
Quindi il blog da osservatorio delle vittime del Mediterraneo è diventato una sorta di archivio di storie dei migranti...
In effetti, all’inizio il sottotitolo del blog era Osservatorio sulle vittime della migrazione clandestina. Se guardi oggi, è tutta un’altra cosa.
Ad esempio, sono scomparse una serie di parole come "clandestino”, "immigrato”, "rifugiato”, "profugo”. La ragione è semplice, credo che si tratti di categorie abusate, che vanno superate. Quando in Italia dici clandestino, rifugiato, parli di categorie che prescindono dalla storia di quei singoli individui, d ...[continua]

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