Antonella Cilento, scrittrice, ha ideato e conduce il Laboratorio di scrittura Creativa Lalineascritta dal 1993 presso associazioni, librerie e scuole in giro per l’Italia. Vive a Napoli. Il libro cui si fa riferimento nell’intervista è Asino chi legge. I giovani, i libri, la scrittura, Guanda 2010.

Da molti anni proponi dei laboratori di scrittura nelle scuole. Puoi raccontare?
Insegno scrittura creativa da 18 anni. Lalineascritta è una delle scuole di scrittura creativa più antiche d’Italia, è nata nel 1993. A Napoli svolgo quest’attività con 70-80 studenti l’anno, che vengono a formarsi all’interno del nostro percorso. Oltre a fare i corsi classici di scrittura creativa a pagamento -quindi con le persone che vengono e si iscrivono- da molti anni vado anche nelle scuole pubbliche a fare formazione per i bambini e gli studenti medi e superiori, e poi faccio formazione agli insegnanti.
Quest’attività al Sud è realizzata con i Piani di Offerta Nazionale, i cosiddetti Pon, che si avvalgono di fondi europei. Tra due anni, però, termineranno e quindi non si sa cosa succederà. In altre regioni lavoriamo invece attraverso i Pof (Piano dell’Offerta Formativa), oppure nell’ambito dell’ offerta formativa che la scuola mette a disposizione.
L’obiettivo, ambizioso, è quello di portare le persone, in primis i giovani, alla lettura e alla scrittura.
Asino chi legge è un po’ il censimento degli oltre cento laboratori condotti in questi anni da Bolzano fino a Modica, con particolare attenzione alla Campania. E’ il racconto di quello che succede quando entro nelle classi, mettendomi in qualche modo nel mezzo fra studenti e insegnanti, facendo accadere delle cose che normalmente non accadono. La scuola non prevede più uno spazio in cui possano accadere delle cose impreviste, così a esser più penalizzato è proprio il livello emotivo, che normalmente non viene minimamente preso in considerazione, perché non c’è il tempo, ma anche perché gli insegnanti fanno resistenza a mettersi in gioco veramente, anche per paura di essere sopraffatti. La parola che si usa in questi casi è "gestire le emozioni”, come se le emozioni si potessero in qualche modo controllare!
Il risultato è che i ragazzi, fin dai primi incontri, per il tipo di strumenti che uso, si mettono completamente a nudo e scoprono di sé delle parti che spesso i loro insegnanti non hanno mai visto né sentito.
Comunque succede la stessa cosa anche quando facciamo formazione con gli insegnanti: anche loro, pur avendo lavorato nella stessa scuola magari per molti anni, non di rado scoprono di non conoscersi affatto.
Tutte le indagini riferiscono che siamo un paese che legge poco. Rispetto alla tua esperienza qual è la situazione?
Se si va a guardare capillarmente nelle scuole, i ragazzi leggono poco, pochissimo e ci sono dei luoghi dove non si legge affatto.
In una scuola media di Frattamaggiore, dove alcuni anni fa lavoravo con dei ragazzi drop out, un giorno, durante un laboratorio, parlando, dissi: "come succede in Cenerentola…”. Beh, mi accorsi che i ragazzi mi guardavano senza capire. "Ragazzi non conoscete la favola di Cenerentola?”, "No, non ce l’hanno mai raccontata, "Ma non avete mai visto nemmeno il film di Walt Disney?”. Incredibilmente questi ragazzi non conoscevano la storia di Cenerentola. Parliamo anche di una situazione particolare: molti erano impiegati in lavoro minorile, lavoro al nero o in operazioni palesemente delinquenziali, erano vestiti come adulti, le ragazzine truccatissime, anche se avevano 12 anni, qualcuna era già incinta. Comunque, nella loro infanzia, nessuno, né a casa né a scuola, aveva loro mai raccontato la favola di Cenerentola.
Questo è l’esempio estremo, e non è nemmeno identificativo della realtà di Frattamaggiore, perché nello stesso contesto, da sette anni tengo dei laboratori in un liceo scientifico, dove invece abbiamo dei ragazzi che sono dei lettori molto forti. Quindi non puoi nemmeno dire che è colpa del territorio.
A macchia di leopardo ci sono luoghi diciamo "caldi” e luoghi invece di eccellenza in tutta Italia.
Ma quindi è venuta meno la tradizione di raccontare le favole ai bambini?
È come interrotta. Ci sono delle generazioni di genitori, sia quelli socialmente disagiati, ma anche quelli molto ricchi, che non hanno il tempo, non hanno la voglia, che non si rendono conto di quanto sia importante fare questa operazione minima che è raccontare le favole ai bambini.
Non è una notazione di poco ...[continua]

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