Françoise Rudetzki, fondatrice di Sos Attentats, recentemente ha pubblicato la propria autobiografia dal titolo Triple peine, Calmann-Lévy, 2004. Vive a Parigi.

Era il 23 dicembre 1983, io e mio marito stavamo festeggiando il decimo anniversario di matrimonio a “Le Grand Véfour”, un noto ristorante di Parigi, quando, alle 22,30, proprio mentre stavamo mangiando, eravamo ormai al dessert, avvenne l’esplosione e io fui ferita molto gravemente agli arti inferiori.

Dovetti combattere molto per le mie gambe. Sarebbe stato necessario amputarne una ma io insistetti molto per poterla conservare. Questo ha comportato una serie infinita di operazioni (mi sono sottoposta a una sessantina di interventi di chirurgia ricostruttiva, con trapianti di tessuto nervoso, osseo, muscolare, di pelle, ecc.) e una convalescenza, spesso in ospedale, durata anni, durante i quali, ovviamente, mi potevo muovere solo con la sedie a rotelle.
Volevo conservare le mie gambe, l’integrità del mio corpo. Certo, ho sopportato una sofferenza estrema ma farsi tagliare una gamba sarebbe stata una sofferenza ancora più insopportabile. L’idea di avere solo una gamba mi era insopportabile, molto più insopportabile della sofferenza fisica. Poi c’era una specie di promessa fatta a mio marito. Subito dopo l’attentato, quando capii di essere stata ferita molto gravemente e di rischiare la vita, gli promisi di vivere. Io non credo in dio, però mio marito si era piegato su di me e avevo letto nei suoi occhi la paura che io morissi. Allora gli dissi: “Ti prometto che vivrò, sopporterò il colpo”. Per me era un messaggio d’amore. E la promessa che gli avevo fatto mi ha aiutato a resistere, a lottare contro la sofferenza, a non cedere alla morte.
Devo dire che mio fratello mi ha aiutato tantissimo. E’ medico e credo sia stato grazie a lui se i suoi colleghi medici, a suo tempo, hanno tenuto conto della mia volontà e non mi amputarono la gamba. Il fatto che lui fosse lì ogni giorno a far da ponte tra me e i dottori dell’ospedale, a discutere con loro delle mie cartelle cliniche è stato decisivo. Inoltre questo mi ha permesso di essere informata in maniera più esatta e completa sulle mie condizioni di salute. (Oggi le cose sono cambiate, i medici parlano molto di più con i malati, il diritto ad essere informati sulle proprie condizioni di salute è ormai acquisito, ma nel 1983 non era così).
Purtroppo quella notte ebbi bisogno di una trasfusione e contrassi pure l’Hiv. (Erano gli anni in cui le trasfusioni erano ad alto rischio). Lo scoprii l’anno dopo, quando volli fare il test.

Fu attraverso il mio caso che mi resi conto che il reato di terrorismo nel diritto francese non esisteva. Nei codici non figurava neppure la parola. Eppure all’inizio degli anni Ottanta, nell’81, ‘82, ‘83, a Parigi erano stati commessi diversi attentati. Che ne era stato delle altre vittime? Qualche tempo dopo un giornale pubblicò un articolo sul ristorante dove era stata collocata la bomba, dal titolo “Le Grand Véfour risorto”. Vi si raccontava che non erano stati lesinati mezzi per la ricostruzione e che la bomba aveva fatto “più rumore che male”, questo il titolo del pezzo. Di getto mandai una lettera a quel giornale e spiegai che io ero ancora all’ospedale e mi stavo battendo per conservare la mia gamba. “La bomba ha fatto molto male”, scrissi. La lettera venne pubblicata e attraverso di essa potei lanciare un appello per rintracciare le altre vittime.

Nacque così l’idea di dare vita a un’associazione che riunisse tutte le vittime di attentati terroristici, e nel gennaio 1986, fondammo “Sos Attentats”. Quando ne diedi l’annuncio tramite stampa, mi scrissero e telefonarono in tanti, tutte vittime di attentati che stavano vivendo esperienze incredibili, persone che non avevano nemmeno i soldi per pagarsi le spese di ospedalizzazione. Tanto per fare un esempio, uno degli esiti abbastanza frequenti degli attentati sono le ustioni gravi, e i grandi ustionati devono indossare degli indumenti speciali, che esercitano un’opera di compressione sulla pelle. Ebbene, queste persone non avevano nemmeno i soldi per poterseli pagare. Allora la nostra richiesta prioritaria fu che le vittime di attentato ricevessero almeno un indennizzo che gli permettesse di sostenere le spese mediche più urgenti.
Poi ci battemmo per far introdurre nel codice penale il reato specifico di terrorismo in modo che il risarcimento per le vittime fosse un diritto. Occorre ricorda ...[continua]

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