Claudio Cardelli, regista televisivo, collabora con la De Agostini e con la Rai, per la quale ha realizzato vari documentari. Ha iniziato a viaggiare in Asia alla fine degli anni 60 e da allora ha compiuto numerosi viaggi in medio ed estremo oriente, approfondendo in particolare lo studio delle regioni himalayane.

Per capire la situazione attuale del Tibet bisogna ovviamente delineare un po’ la storia del paese e dell’occupazione cinese.
La prima cosa da dire è che il Tibet è una nazione con lo status giuridico, politico, storico, etnico, di nazione, quindi una lingua, un’etnia, una cultura, che fu invaso ed è tutt’ora occupato da un’altra nazione che è la Cina Popolare. L’invasione accadde negli anni ’50 con l’avvento al potere in Cina di Mao Tse Tung. Non appena Mao andò al potere tra le tante cose che mise subito in chiaro è che avrebbe "liberato" il Tibet, "liberato" da quello che dal loro punto di vista era un regime feudale e teocratico, ossia l’esatta antitesi dell’ideologia marxista che prendeva piede in Cina in quel periodo. Una società retta da un potere monastico, priva di ogni tipo di tecnologia, dove non c’erano nemmeno strade, era veramente una cosa da abbattere.
C’erano poi rivendicazioni storiche che la Cina aveva sempre vantato nei confronti del Tibet, in quanto in certi momenti della storia tibetana vi sono stati rapporti di interdipendenza con la Cina. Per esempio, durante la dinastia Ching, quella dell’ultimo imperatore, finita nel 1912 con la caduta di Pu-yi, la Cina aveva avuto sul Tibet una certa influenza perché in quel periodo il potere dei Dalai Lama era molto debole. Tuttavia, a parte la discutibilità della rivendicazione di un potere sulla base di eventi storici passati, argomento tanto caro ai cinesi, in passato c’erano state anche situazioni opposte. Infatti, durante l’impero dall’VIII al IX secolo, il Tibet aveva avuto un potere tale da arrivare quasi alle porte di Pechino, mentre non c’è mai stato un momento in cui la Cina sia stata padrona del Tibet, mai. Il Tibet negli ultimi anni era un paese che rilasciava passaporti (pochissimi, per la verità), stampava francobolli, aveva una sua moneta.
Ma ci sono anche ragioni storiche antiche, che distinguono la storia della Cina da quella del Tibet?
Infatti. Questo è vero fin dall’inizio della storia tibetana che, per quanto è giunta a noi, data con l’avvento del buddismo nel Tibet. Prima si hanno notizie frammentarie di un popolo di nomadi che abitava l’altipiano tibetano, gente che si spostava con le mandrie di yak, le tende, in quest’ambiente molto inospitale, a 4.000 metri di altezza di media il che significa dai 7-8.000 delle montagne ai 3.000 del fondovalle; tutta la civiltà tibetana si è sviluppata, di fatto, lungo le rive del fiume Brahmaputra che in Tibet era chiamato Tsangpo.
Fin dall’inizio della sua storia, il Tibet ha avuto sempre una tendenza a spostarsi verso l’India piuttosto che verso la Cina, quindi con l’avvento del buddismo, arrivato in Tibet nell’VIII secolo ad opera di maestri indiani, la scelta è caduta su una scrittura di tipo alfabetico e non ideografico come quella cinese.
La scrittura del Tibet, che è molto simile al sanscrito, la scelta di un buddismo di tendenza indiana, che si chiama wajrayana o tantrayana che assomiglia molto alle correnti filosofiche dei tantra indiani più che alle tendenze chan, o zen, cinese o giapponese, testimoniano del fatto che il Tibet tendesse più verso l’area culturale indiana piuttosto che verso quella cinese.
Ci sono stati errori da parte della classe dirigente tibetana?
L’errore più grave è quello di non aver valutato i rischi che l’isolamento del Tibet comportava. Negli anni dal 1910 al 1949, il tredicesimo Dalai Lama, quello che ha preceduto l’attuale, era un grande politico astuto che si doveva dibattere tra tre potenze tremende, la Russia, la Cina e l’Inghilterra, aveva capito che questo isolamento del Tibet non poteva durare a lungo.
Tuttavia, una certa classe monastica non era disposta a rinunciarvi in quanto era sicura che una contaminazione civile di tipo occidentale avrebbe causato degli sconquassi a una società così equilibrata. Teniamo presente che la società tibetana, tutto sommato, non aveva mai conosciuto tensioni sociali particolari malgrado la presenza di un’aristocrazia molto forte, di un clero altrettanto forte e della servitù. Probabilmente la ragione di questo sta proprio nel buddismo che è un pensiero, una religione che permeava tu ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!