Biljana, contrariamente a quanto possa sembrare, era nata in Italia nel 1980. La famiglia era originaria di Belgrado, ma il padre ingegnere aveva iniziato a lavorare tra Milano, Bologna e Lubiana per aziende dell’area Lega cooperative, che collaboravano al tempo con la ex Yugoslavia socialista. La madre faceva piccoli lavori di traduzioni commerciali.
Iniziati i primi problemi in patria tra Slovenia, Croazia, Serbia, Kosovo, il padre aveva pensato bene di restare in Italia. Una grave malattia nel 1994 però se l’era portato via velocemente.
Dopo il liceo Biljana aveva frequentato l’Università di lingue ma senza laurearsi, perché a causa di problemi economici (la pensione yugoslava del padre a causa della guerra e del disfacimento della sua nazione non era più stata pagata) aveva dovuto trovarsi un lavoro; anche la madre  aveva dovuto adattarsi a fare le pulizie in alcuni condomini.
Biljana, dopo alcune attività varie (traduzioni, impiegata a termine, baby sitter, postina trimestrale) era stata assunta quale addetta alla reception presso un’azienda che forniva servizi sanitari per la riabilitazione dopo un trauma o una operazione, dal medico al fisioterapista al massaggiatore. Azienda, di proprietà di fatto di due fratelli molto dinamica, capace nel giro di pochi anni di aprire una decina di sedi (convenzionate con il sistema sanitario pubblico) nel nord e centro Italia.
Biljana si era fatta apprezzare velocemente: era veloce a comprendere sia gli obiettivi aziendali che i bisogni delle persone, capace, attenta nell’organizzare il suo lavoro, con grande senso del dovere. Probabilmente non guastava il suo aspetto, bella ed autorevole. Nel giro di quattro anni era stata promossa di livello, ed in realtà svolgeva ormai le funzioni di vice-direttrice del centro madre. Aveva svolto inoltre, seppure in via temporanea sempre come supplente per motivi vari in caso di vacanza del ruolo, le funzioni di direttrice amministrativa di due centri esterni, riscuotendo i (moderati) complimenti del manager aziendale. La retribuzione no, non si era accorta delle sue accresciute qualità: certo a Natale aveva ricevuto una gratifica, e le spese di trasferta le venivano ovviamente rimborsate, ma straordinari e spostamenti, nonché indennità relative al fatto che passava qualche volta il sabato nei centri esterni, mai. Quando una volta ne aveva accennato al capo, questi con un sorrisetto (che avrebbe imparato a conoscere) le aveva detto "… ma Biljana lei mi delude! È chiaro che la sto testando per capire la sua resistenza e fedeltà alla nostra azienda, ma se lei me la butta sull’economico significa che lei lavora solo per i soldi e non perché condivide la nostra mission!”. La ragazza non aveva replicato, la sua indole non era polemica od aggressiva; sentiva che c’era qualcosa che non andava, ma in fondo a trent’anni aveva un buon lavoro, con i soldi che prendeva, assieme a quelli della madre, riuscivano a farcela, anche se pagato l’affitto non restava certo abbastanza da mettere via qualcosa.
Arrivò però la grande occasione. Un giorno il manager la fece chiamare nel suo ufficio e le disse: "Penso sia arrivato il suo momento. Tra due mesi abbiamo deciso di aprire una nuova filiale a Verona, presso un grande Centro sportivo e natatorio; abbiamo pensato a lei quale direttrice amministrativa. Dovrà fare un po di gavetta ma se va tutto bene… Che ne pensa? Le pagheremo l’affitto di un appartamento, avrà uno scatto di qualifica, e la possibilità di dimostrarci che cosa vale davvero”
Biljana rimase interdetta. Ci pensò sopra una giornata, ne parlò con la madre, valutò i pro e i contro (tra cui probabilmente il fatto che se avesse detto di no, la cosa non sarebbe rimasta senza conseguenze) e decise di accettare.
Dopo tre o quattro viaggi esplorativi, parti per Verona un lunedì di settembre, aveva trovato casa in un vicolo del quartiere di Veronetta, un piccolo ma confortevole appartamentino di due stanze a prezzo decente e a due passi dal centro; doveva usare l’auto per raggiungere il centro sportivo, situato ai piedi delle colline fuori città, ma ne valeva la pena quantomeno per le poche ore disponibili per sé. Amava passeggiare per le vie del centro città, lungo l’Adige, verso sera, ascoltando il fluire del grande fiume.
Il lavoro di organizzazione della filiale le costò parecchio: lavorava dalle 10 alle 12 ore al giorno, spesso anche il sabato, prima ad arrivare il mattino ed ultima ad andarsene -la direttrice sanitaria, ...[continua]

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