Cari amici,
nel n. 155 (aprile 2008) avete pubblicato le mie considerazioni sui casi israelo-palestinesi. Concludevo che dal 17 marzo non si avevano più notizie delle trattative per una tregua avviate, tramite l’Egitto, da Israele e da Hamas. Erano in corso: la tregua entrò in vigore alle ore 6 di giovedì 19 giugno. Intervenendo nell’allora campagna elettorale, il 12 marzo, l’ambasciatore israeliano a Roma, in polemica con D’Alema, lo aveva escluso. Malgrado violazioni (razzi su Israele e incursioni sulla Striscia), essa resse fino al concordato 19 dicembre.
Cos’è accaduto in quei sei mesi? Il 12 luglio Abu Mazen e Olmert a Parigi si presentano al lancio dell’Unione del Mediterraneo di Sarkozy sorridenti, mano nella mano, e assicurano che i negoziati per un accordo erano nella fase conclusiva. A Hebron, il 29 ottobre, nello sgombro di un edificio occupato illegalmente, tafferugli fra coloni e soldati accusati d’essere “nazisti”: Olmert dichiara che taglierà i finanziamenti agli avamposti illegali (erano finanziati anche quelli!). Il 15 dicembre, Israele libera 227 detenuti quasi tutti militanti di al-Fatah: 209 cisgiordani, 18 di Gaza. Gesti orientati a un accordo con l’Autorità Palestinese che non suscitano favore nell’opinione pubblica e non confortano Olmert nel procedere su quella strada. Nessun ripensamento sull’espansione edilizia a oriente di Gerusalemme da lui annunciata il 17 marzo scorso. Non è peregrino dedurre che il proposito di estendere gli insediamenti esistenti non sia venuto meno. Com’è possibile ritenere che un palestinese possa credere nell’intenzione di negoziare?
Di quei mesi di tregua Hamas s’è servita per stipare i suoi arsenali di missili e Israele per prepararsi a invadere la Striscia. Non a caso l’aveva sigillata (motivo non infondato di Hamas, ma anche della popolazione della Striscia, di considerare quella blindatura un proposito indefinito di emarginazione e soffocamento), salvo consentire, su pressione internazionale, ad alcuni convogli umanitari di transitare. Già con Sharon, il ritiro da Gaza (agosto-settembre 2005) senza un accordo con il disprezzato Abu Mazen e quindi sottoporre la Striscia ad assedio sono state operazioni fatali per al-Fatah e i prodromi della vittoria elettorale di Hamas (25 gennaio 2006).
Che fin dal giorno dell’evacuazione unilaterale della Striscia non sia venuta meno la tendenza dominante nei governi d’Israele dopo l’Indipendenza -salvo gli anni del secondo governo Rabin- di risolvere la questione palestinese con l’uso esclusivo della forza, prescindendo dalle ragioni dei palestinesi e della pubblica opinione araba in generale, è difficile contestare. Basti pensare all’accoglienza riservata dalla diplomazia israeliana al rilancio della Lega Araba (Riad, 28 marzo 2007), della proposta di pace del principe ereditario saudita Abdullah (Beirut, 28 marzo 2002): confini con uno Stato palestinese alla Linea Verde prima del giugno 1967, accordi sui profughi accettabile per Israele. Si trattava del superamento radicale dei “tre no” (pace, riconoscimento, negoziati) di Khartum del 2 settembre 1967. Eppure improponibile per Israele -senza considerare l’irriducibile determinazione dei coloni (circa il 10% della popolazione ebraica d’Israele)- rinunciare al West Bank e programmare lo smantellamento degli insediamenti, anche solo in parte. La pace causerebbe un ridimensionamento delle forze armate. Ipotesi non accettabili da una popolazione in maggioranza ancora convinta che si debba risolvere la questione palestinese esclusivamente con la forza, e non proponibili a una leadership in cui il potere civile e il potere militare sono in un rapporto osmotico.
Peraltro uno Stato non può tollerare che dalle sue frontiere piova dell’esplosivo. Inevitabili dal 27 dicembre i bombardamenti della Striscia. Essendo stati più volte provocati, probabilmente una trappola; efficace per quanto ripugnante, perché l’esca si fece scudo della popolazione. L’invasione del 3 gennaio coerente col proposito di farla finita con Hamas.
Per dimensione topografica il teatro dello scontro a fuoco era come se dalla Toscana (kmq 1.300 più vasta di Israele, 21.671 kmq, deserto del Negev, kmq 8.880, compreso) l’esercito più potente dell’area mediterranea investisse di fuoco la provincia di Prato vasta come la Striscia di Gaza; ma la densità della popolazione delle provincia di Prato è di 633 persone al kmq, mentre quella della Striscia è di 4000, più di circa 1.400 persone al k ...[continua]

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