Cos’è ancora Sarajevo?
Sarajevo è una città che scorre. Alla fine della città c’è un piccolo buco, dentro c’è sempre confusione. Alcuni escono dalla città e altri ancora escono. Pochi sono quelli che entrano, colonne continue scorrono verso la libertà. Sarajevo ha fornito al mondo i lavapiatti più qualificati. Dottori delle scienze, giuristi, giornalisti, musicisti, medici, ingegneri, scrittori. Tutti loro stanno sgrassando piatti in Canada, America, Australia.
Alla notte, quando cerco di riscaldarmi sotto la coperta lisa e fuori è -19°C, ricordo le facce degli amici che ho perso. A me, che pure sono l’unico a trovarsi in una situazione senza uscita, fanno pena. Questo sicuramente è il modo sarajevese contro la verità. Attribuire ad altri la tua sofferenza ti farà sentire meglio. Chi esce per ultimo deve spegnere la luce.

I bambini sono l’esercito più forte.
Non ci sono bambini nella sala giochi, così come non ce ne sono in cortile. Alcuni sono a Zagabria, altri a Pale, altri nell’androne. Questi ultimi invece delle biglie raccolgono schegge, è da tanto che non prendono le sculacciate e tutti imparano l’inglese. Come siamo messi! Un giorno questa sarà la loro madre lingua.
All’inizio della guerra la città era piena di cecchini, di Sds. Prima della guerra il partito gli ha dato i fucili e adesso sparano contro la gente. Un giorno, all’inizio di maggio, visto che non si era sparato per tutta la mattinata, i bambini si sono rincuorati e sono usciti in giardino. Un genitore molto apprensivo li ha cacciati via tutti, urlando di sbrigarsi perché i cecchini potevano cominciare a sparare da un momento all’altro. Una bambina molto dolce di tre anni si è girata verso l’uomo e ha detto: "non sparerà, dado, perché adesso il mio babbo sta dormendo". Così i difensori della città hanno rintracciato il primo cecchino.

Cade la prima neve.
In dicembre, quando cade la prima neve, il silenzio diventa il suono dominante. Non ci sono le auto, non c’è il tram, non c’è nessun rumore. Per la strada passa un uomo con la cariola e un bambino. Una coppia disarmonica, l’uomo e questo suo bambino. Lui è vestito senza alcuno stile: stivali di gomma, pantaloni da operaio, la giacca della protezione civile, i guanti spaiati. Il bambino ha tre anni al massimo e fa da antipodo all’uomo: i vivaci, complementari colori della tuta da sci, la cuffia di lana con un grande pon pon che salta da sinistra a destra. Il piccolo è vivace, sorridente, la strada risuona delle sue risa. Alla fine riesce a convincere il padre e sale sulla cariola, grida dalla gioia quando l’uomo lo spinge. Dalla finestra del palazzo davanti al quale passano li guardano due bambine. Sorridono.
A questa immagine, per essere completamente sarajevese, manca solo un dettaglio, non dovete sforzarvi di indovinare quale. Manca solo un cecchino, lui apparirà tra un minuto e mezzo, quando l’uomo e il bambino sbucheranno all’incrocio e senza alcuna emozione premerà il grilletto.
Il colpo fa sbalzare il bambino dalla cariola e gli spacca la testa. Il padre dallo shock diventa muto. La gente scappa via, ma questa è solo la prima reazione. Non passerà nemmeno mezzo minuto e tutti torneranno all’incrocio. Un tassista prenderà il bambino e guidando come un pazzo sparirà verso Kosevo. La gente si avvicinerà al padre, ma nessuno lo potrà aiutare. Lui guarderà davanti a sé, non sentirà niente, non vedrà nessuno. In pochi minuti di tutta questa immagine rimarrà solo la cariola rovesciata e il sangue accanto. Prima che cada la neve, un pechinese abbandonato leccherà il sangue. Prima che si faccia buio, sparirà anche la cariola. I tempi sono difficili, non dovete avere rancore. Si tratta di questo: l’indifferenza del cecchino e il dolore del padre sono della stessa intensità.
Allora non sapevamo niente della nostra posizione. Non sapevano che era senza speranza. Pensavamo che per ogni bambino ucciso aumentasse la vergogna dell’Europa. Ci voleva tempo per capire che ci sarà solo una lapide in più a Sarajevo. E questa è la cosa che si deve dimenticare a qualsiasi costo. Ma non decidiamo noi cosa bisogna dimenticare o cosa ricordare. Le immagini scelgono noi. Come i cecchini.

Non sono un uomo, sono solo un bersaglio nel mirino di un cecchino.
Quando entri nell’autobus non sai se ne uscirai. Duecento entrano, solo centonovantanove escono, uno lo portano fuori. L’arte è mettersi il più internamente possibile nella parte sinistra dell’autobus.
A destra c’è Grbavitza, a Grbavitza lo Shopping, allo Shoppin ...[continua]

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