Offesa
Ai primi di luglio il World Gay Pride, la manifestazione internazionale dei movimenti omosessuali indetta a Roma contro le discriminazioni e per i diritti civili ha messo alla prova lo Stato e la Chiesa Cattolica. Il Governo di centro-sinistra laico-cattolico, e il sindaco di Roma, oscillavano fra il proprio dovere costituzionale di garantire il diritto di manifestare e una preoccupata deferenza verso gli umori del Vaticano; questi a sua volta si dichiarava offeso e pretendeva che la Roma del Giubileo non subisse l’affronto della manifestazione omosessuale, e che il rispetto dovuto alla propria suscettibilità giustificasse il non rispetto della Costituzione dello Stato laico: chiedeva in pratica che la manifestazione venisse vietata, o differita ad altro tempo e ad altro luogo. Come già aveva fatto il Presidente del Consiglio, Amato, la destra -Polo delle Libertà- dichiarava che certe libertà sono “inopportune” se urtano la Curia Vaticana; e, fiancheggiata da gruppi filonazisti (“Forza Nuova”) o clerical-fascisti (“Cristo Re”), si lanciava con entusiasmo omofobo in “difesa” della famiglia eterosessuale e del monopolio del Vaticano sulla capitale dello Stato italiano nell’anno giubilare. Nell’impeto dello zelo, il segretario di “Alleanza nazionale” scivolava in una specie di lapsus e scriveva:
“Domando al lettore: che cosa potrebbe accadere se qualcosa del genere del Gay Pride fosse organizzato alla Mecca, in occasione dell’annuale pellegrinaggio, o a Gerusalemme, durante la Pasqua ebraica, con analoghe motivazioni e modalità di contestazione delle autorità religiose islamiche o ebree? Non vedo perché il rispetto che si deve a tutte le confessioni religiose non debba valere a Roma per il Pontefice”. Quasi che la Mecca, o l’oltranzismo religioso a Gerusalemme, fossero modelli auspicabili, esempi da seguire e da proporre all’Italia. Ma non si può negare che, come spesso capita ai lapsus, anche questo colga nel profondo, facendosi portavoce delle reali pulsioni integralistiche espresse dalla gerarchia vaticana nell’occasione: quella di non essere da meno dell’integralismo altrui nella competizione globale tra le religioni: cuius religio eius regio.

La gerarchia cattolica, comunque,anche nelle autorevoli parole del Papa, si è dichiarata offesa per il Gay Pride; offesa che si manifestasse per il diritto ad affetti e sessualità che essa ha definito “contro natura” (forse che il celibato del clero cattolico è sessualità secondo natura?); offesa che le si contestasse l’autorità sulle leggi di natura. Essa ha giudicato, ma non vuole essere giudicata. L’offesa: e se anche fosse, mi domando quale sottile esegesi renderà compatibile questa gridata indignazione per l’offesa con il passo evangelico, dove è detto: “ma a chiunque vi schiaffeggia sulla guancia destra, offri anche l’altra; e se uno vuole litigare per toglierti la tunica, cedigli anche il mantello; e se uno ti forza a fare un miglio, va’ con lui per altri due” (Matteo 5, 39-41). Ma la Curia vaticana non ha offerto guance bensì ha chiesto di reprimere un diritto altrui; non ha ceduto il mantello, ma si è vestita d’orgoglio ferito; non ha accompagnato per tre miglia e neanche per uno la marcia pacifica del Gay Pride, ed anzi ha preteso che neppure sfiorasse le sue chiese.

Sotto questo aspetto, la questione dell’offesa è ancora interna alla Chiesa cattolica, riguarda la sua coerenza confessionale e professionale. E in tema di coerenza è utile confrontare le pretese vaticane ai danni della laicità dello Stato e della città di Roma con la seguente nota data da “l’Osservatore Romano” il 31 maggio 2000, proprio nei giorni della polemica sul Gay Pride:
“Abuja, 30
Lo Stato di Sokoto, nella Nigeria settentrionale, ha adottato a partire da ieri la Sharia (codice islamico) come legge . Diversi altri Stati del nord della Nigeria dove la popolazione è al 90% musulmana, progettano di adottare la Sharia. Se non l’hanno ancora fatto, è dipeso dai sanguinosi scontri che hanno opposto estremisti delle comunità cristiana e musulmana. I cristiani, infatti, non possono accettare di sottostare ad una legge di natura confessionale, che lederebbe le loro libertà civili e religiose in dispregio della laicità sancita dalla costituzione federale (corsivo mio).

La conclusione è semplice: quando si è minoranza, si difende (anche con il sangue) la laicità; quando si è maggioranza si procede in senso inverso.
E’ probabile che nel Sokoto, e negli altri Stati ...[continua]

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