L’intervento si è tenuto il 27 aprile a Cesano Maderno.

C’è una domanda drammatica che corre lungo tutti gli scritti e la vita di Alexander Langer: non è che stiamo distruggendo tutte le nostre possibilità di convivenza?
La convivenza però contiene due aspetti: la convivenza tra di noi -quindi tra culture, lingue, tradizioni- e la convivenza tra noi e la natura. Ma quest’ultima non è la convivenza con un altro, è la convivenza con la nostra stessa dimensione naturale. Questo è l’atteggiamento che distingue radicalmente Langer da un certo ambientalismo, che continua a considerare la natura come una cosa che sta di fronte a noi. No, la natura è “noi e la natura”, “noi e le cose”. Non vi è “l’uomo e la natura”.
Allora, anche quando commettiamo le peggiori nefandezze, non sono degli extra-naturali a commetterle, ma quelle componenti della natura che noi rappresentiamo, perché il nostro cervello, la nostra mente, la nostra anima, esattamente come il nostro corpo, fanno parte integrante della natura. E quindi quando questa mente, questo cervello, quest’anima, distruggono la natura, è una parte della natura stessa a distruggersi.
E’ evidente allora che bisogna armonizzare e far convivere queste nostre due dimensioni. La nostra malattia consiste infatti nel volerle distinguere e separare. Ma mentre distinguerle è un esercizio di analisi che può diventare positivo, separarle astrattamente, porre una morta separatezza tra le due, è micidiale, distrugge e mente e corpo e anima e natura.
Nel caso di Langer, perciò, io non parlerei di ecologia e di ambientalismo, ma userei un termine più forte: “etologia”, che comprende quell’aspetto che noi colloquialmente e approssimativamente definiamo ambiente. L’ethos quindi inteso come il nostro dimorare nella natura, il nostro caratterizzarci come elementi della natura, che vivono armonicamente con gli altri elementi naturali.
Per Langer dunque la vita è fondamentalmente intesa come convivenza. Laddove tu non sai convivere, non sai nemmeno vivere, perché vivere è convivere. Ed è questa visione del mondo che non definirei semplicemente ambientalismo o ecologia, ma, appunto, etologia, un termine senz’altro più forte e carico di conseguenze anche a livello pratico-politico. Laddove, infatti, un semplice atteggiamento ambientalistico può correre il rischio di cadere in una sorta di “fondamentalismo”, l’atteggiamento etologico considera le nostre pratiche, il nostro carattere, il nostro ethos come funzione ed elemento dell’insieme della natura, in tutta la contraddittorietà di questo rapporto ma anche in tutta la sua necessità. E non ci sono scorciatoie: è un problema che va assolutamente affrontato. Detto in altri termini, l’etologia, nel pensiero di Langer, si caratterizza come una scienza, o forse come un’arte, del convivere, dell’abitare, del dimorare, dell’aver casa insieme ad altri, nella natura, con la natura, come natura.
Langer era anche animato, come si vede dai suoi scritti, da un certo disincanto ma anche da una grande speranza. Ed è difficile dire se questa sua speranza, contemporaneamente fondata e disincantata, possa ancora avere la possibilità di realizzarsi; la nostra storia -gli ultimi avvenimenti lo stanno tragicamente dimostrando- va veramente in una direzione, ahimé, completamente diversa. Credo che Langer stesso avvertisse con crescente drammaticità la distanza fra le sue speranze e la realtà, e non soltanto per quanto riguarda le tragedie che stiamo vivendo, e che minacciano di distruggere ogni reale convivenza tra popoli e culture, ma anche nei nostri rapporti con la cosiddetta natura.
Che cosa intendo dire? Che così come pare sempre più difficile realizzare una reale convivenza tra uomini, tra culture, tra linguaggi, tra tradizioni, tra religioni, parimenti stiamo vivendo -e non è un caso- il nostro rapporto con la terra, intesa proprio come Gaia, come limite e prigione. E anche qui c’è un perfetto parallelismo di cui Langer è ben consapevole.
Certo si dirà: è la cultura occidentale, quella europea. Ma ci piaccia o no, la cultura europea, la cultura occidentale, sono assolutamente dominanti nel mondo contemporaneo. Certo, potremmo fare riferimento alle statistiche: siamo seicento milioni su sei miliardi. Ma non c’è alcun dubbio che l’Occidente, le sue idee, la sua tecnica, la sua scienza, siano dominanti. Ed è con questo primato che occorre fare i conti.
E questa cultura, che sente la terra come limite e prigione, si sta muovendo i ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!