Hanoi 30
Cara sorella cadetta, subito dopo la fine di un bombardamento, oggi, mi hanno portato la tua lettera insieme con una lettera di Patrizia. Le prime che ricevo.
Questa credo che sarà la prima e l’ultima lettera che ti scrivo perché ho l’impressione che la posta impieghi un mese e alla fine di settembre o all’inizio di ottobre ho intenzione di tornare. Devo confessarti che è anche per l’invidia che suscita Hanoi che sono venuto qui e mi gusta molto il fatto che cresca. Jane [Fonda] era nel mio stesso albergo, ma per un eccesso di timidezza non ho mai avuto il coraggio di presentarmi. E così è stata lei che si è presentata, dopo aver visto il film sul bombardamento di Cathke. Aveva riconosciuto i miei inconfondibili baffi e mi ha detto che sono molto coraggioso. Solo perché, senza accorgermene, mentre gli aerei bombardavano mi sono alzato in piedi per vederli meglio, considerando che sono un po’ cecato. Dietro di me c’era l’operatore vietnamita che ha inquadrato i miei baffi levarsi verso gli aerei mentre tutti gli altri erano sdraiati per terra. Poi c’era un fango terribile e non volevo sporcarmi i pantaloni che avevo lavato due giorni prima. Per quanto riguarda le giovani ragazze e la paura, era tutta scena. Paura l’ho avuta solo a Cathke e un paio di volte, in albergo, che non avevo sentito l’allarme e mi sono trovato fra il gran casino dell’attacco e della risposta all’attacco, con tutti che sparavano, compresi i miliziani con i fucili mitragliatori. Per il resto quando si sta in albergo non si corre alcun pericolo, a meno che una bomba da mezza tonnellata non lo centri. Ma è difficile perché l’albergo è nella zona più difesa di Hanoi, ci sono un sacco di postazioni contraeree e gli stronzi si limitano a tirare missili, che veramente possono al massimo scucire un baffo.
Sono ormai quindici giorni, dal viaggio-lampo ad Haiphong, che non mi muovo più.
Motivi di sicurezza. Ho cercato di accodarmi a un giornalista cubano che è andato a passare il 26 luglio su una nave cubana bloccata al largo di Haiphong, ma invano. In compenso so tutto della situazione diplomatica. Mi secca un po’ non poterla scrivere, ma è stupenda la soddisfazione di essere convocato ogni tanto al ministero degli esteri dove un compagno intelligentissimo mi spiega tutto. Credo che negli ultimi tempi i miei pezzi si siano un po’ deteriorati e potrai vantarti un po’ meno. In effetti fa una strana sensazione avere tutta la famiglia gruppettara. Ma i vietnamiti sono molto comprensivi del fatto che Valori e Vecchietti siano entrati in segreteria e mi hanno rincuorato. Mi sarà molto difficile andare a Phnom Penh e altrettanto passare per Pechino al ritorno. Impossibile [...] poi fermarsi a Calcutta o a Bombay. Sarò costretto a tornare da queste parti. Ma Sylvana poteva venire qui. L’ingresso dei giornalisti comunisti in Cambogia è difficile e non ho voglia di andare all’ambasciata sovietica per farmi raccomandare. Ma l’ingresso dei giornalisti americani in Rdv è facilissimo. Sto prendendo lezioni accelerate di nuoto in francese, per la fine di agosto saremo tutti pesci. Impossibile invece imparare il vietnamita. Non c’è una sola grammatica francese-vietnamita. Tutto il resto lo sai dai miei pezzi. Non posso che augurarti una buona ripresa settembrina, perché ‘sta lettera ti arriverà a settembre; salutami i vecchi. Di’ a Lisa che sto conservando tutti i commenti vietnamiti e li riporterò a Roma. Sono interessanti e forse più.
Salutami, ovviamente, tutto il resto della famiglia a cui non posso inviare nemmeno una cartolina, perché non ce ne sono. Ciao.
Ps. Il mio nome in vietnamita è Ren Cho Pho A

***
Era bellissimo il mio Vietnam. Era un paese di piccoli eroi, antichi e moderni. Antichi perché lavoravano la terra come formiche, perché avevano pochissime televisioni e poche automobili, perché l’immagine del loro paese era la risaia, era la lotta millenaria contro l’acqua e per la terra. Moderni perché non si stancavano di combattere per dei principi e dei valori, perché la loro lotta era insieme un Risorgimento, una rivoluzione nazionale e l’aspirazione a un socialismo che non era quello sovietico né quello cinese né tantomeno quello cubano. Ma erano moderni soprattutto perché se avevi meno di venticinque anni, se eri di sinistra, se avevi comunque voglia di cambiare il mondo, era impossibile non identificarsi con quell’idea di vietcong che era la libertà del piccolo contro le prepot ...[continua]

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