Maggio 1942... Frescolino, il maggio di quest’anno.
E questa notte è la più silenziosa di tutte.
Le cinque del mattino. I bambini dormono.
Ce ne sono davvero duecento. Nell’ala destra la signora Stefa, io sto a sinistra, in una camera più appartata per i malati.
Non amo scrivere. Pensare sì. Non mi riesce difficile. Come se mi raccontassi delle favole da solo. Ricordo la nonna che mi dava lo zibibbo e diceva: "Per il mio filosofo”. Già allora probabilmente le avevo confidato i miei arditi pensieri per cambiare il mondo.
Come fare perché non ci fossero più bambini sporchi, malvestiti e affamati, con i quali mi era proibito giocare in cortile. Qui, sotto l’ippocastano, era sepolto, fasciato nella bambagia dentro una scatola di latta da caramelle, un essere vicino e amato, il mio primo morto, solo un canarino per il momento.
Sulla sua tomba volevo piantare una croce. Una domestica mi aveva detto di no, perché era un uccello, qualcosa di molto inferiore a un uomo.
Il peggio era venuto con il figlio del portinaio: aveva dichiarato che il canarino era ebreo.
E anch’io.
Anch’io ero un ebreo, mentre lui no. Così quando morirà lui andrà in paradiso. Io invece no. Se non avrò detto parolacce e avrò badato bene a portargli lo zucchero rubato in casa, meriterò dopo la morte qualcosa che a dire il vero, inferno non è, ma è buio. E io avevo tanta paura delle stanze buie.
(dal diario)
Janusz Korczak, pedagogo, scrittore e medico polacco di origine ebraica, trascorse gli ultimi tre mesi di vita all’interno del ghetto di Varsavia. La mattina del 5 agosto 1942 fu deportato nel campo di sterminio di Treblinka insieme a tutti i bambini ospiti dell’orfanotrofio ebraico del ghetto, da lui diretto. Pare che i bambini abbiano intrapreso il viaggio con i loro abiti migliori, ordinati, mano nella mano. Il corteo era chiuso dallo stesso Korczak. Gli ufficiali nemici cercarono di trattenerlo, ma egli si rifiutò di abbandonare i suoi bambini. Morì durante il trasferimento, qualcuno disse di dolore.
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