(...) Non sono per nulla propenso al perdono cristiano degli aguzzini di Buchenwald e dei loro complici schifosi; se, sul modello milanese, li impiccassero tutti all’Uniprix, non leverei la minima protesta. Tuttavia -è naturale- non potrei partecipare all’allestimento della mostra. In questo sta la terribile assurdità della "nostra” battaglia: l’avversario ha superato i limiti di ciò che è umano, cosa che non può essere una passione sana (come l’odio reciproco tra realisti e giacobini o persino tra decabristi e Miloradovič). Schiacciare i mostri è cosa necessaaria ma che non nobilita affatto: dopo, e a lungo, ci rimarrà addosso un brivido disgustoso, come se io stesso fossi inzaccherato del loro fetore.
Sono contento di quello che mi dite di Kristi  e del salvataggio del dottor Aitov.  Mi fa ancora più piacere la notizia del tipografo belga.
La Vostra osservazione sulla terra di Francia, motivo per cui rifiutate in anticipo di venire a Roma, mi ha indotto a riflettere. In realtà, forse, ogni spostamento adesso è diventato pesante, "serio e per molto tempo”. E pensate che ho trascorso cinque anni ininterrotti in una città che mi è indifferente. Sono poche poi le speranze (prendendo in considerazione tutte le circostanze) che tornerà quell’irrequietezza grazie alla quale potrei rendermi conto di essere europeo. Anche per me sarebbe penoso un ragionevole "addio per sempre” alla terra di Francia. È mai possibile che siamo condannati a finire l’esistenza in cella, su ordine di onnipossenti sovrani? Ringrazio però di non trovarmi, come negli stessi giorni di maggio dello scorso anno, in una cella vera.

da una lettera a Tat’jana Alekseevna
Tolosa, 15 maggio 1945