In occasione delle onoranze nazionali per i sette fratelli Cervi fucilati a Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943 dai nazisti, il Presidente della Repubblica ha ricevuto al Quirinale il vecchio padre Cervi, trattenendolo affettuosamente a colloquio.
(Tratto da “Il Mondo”, 16 marzo 1954)


Entrano nello studio del presidente della repubblica il padre dei sette fratelli Cervi, fucilati dieci anni fa dai nemici degli uomini, il magistrato Peretti Griva, già presidente della corte di appello di Torino, l’on. Boldrini, medaglia d’oro della resistenza e Carlo Levi, scrittore e pittore, il quale reca l’originale del ritratto da lui dipinto dei sette fratelli.
Il padre, che porta sul petto le medaglie dei sette figli morti per la patria, ricorda al presidente di averlo già incontrato in Reggio Emilia. Il presidente aveva letto, in un articolo di Italo Calvino, che tra i libri dei sette fratelli, si noverano alcuni fascicoli della rivista "La Riforma Sociale”, un tempo da lui diretta e poi soppressa dal regime fascistico e dice al padre della sua commozione per poter cosí pensare con orgoglio ad un suo rapporto spirituale coi martiri.
Il padre racconta:
- Sí, i miei figli leggevano molto, erano abbonati a riviste; e cercavano di imparare. Se leggevano qualcosa che pareva buono per la nostra terra, si sforzavano di fare come era scritto. Quando abbiamo preso il fondo in affitto, ed erano 53 biolche di 2.922 metri quadrati l’una (circa 15 ettari e mezzo), vedemmo sul terreno monticelli e buche. I figli avevano letto che se la terra sopravanzante sui monticelli fosse stata trasportata nelle buche, il terreno sarebbe stato livellato e sul terreno piano i raccolti sarebbero venuti meglio. Subito acquistarono vagoncini di quelli usati dai terrazzieri sulle strade e si diedero a levare la terra dai tratti alti e metterla nelle buche. 1 vicini passavano, guardavano e scuotevano la testa: "I Cervi sono usciti pazzi. Dove andrà l’acqua che ora finisce nelle buche? Quando tutto sarà piatto come un biliardo, l’acqua delle grandi piogge ristagnerà dappertutto e frumenti ed erbai intristiranno annegati”. Ma i figli avevano dato al terreno, fatto piano, una leggerissima inclinazione; sicché quando le grandi piogge vennero e quando d’accordo con altri tre vicini, fittaioli di poderi appartenenti alla stessa famiglia del nostro padrone, facemmo un impianto per sollevare le acque ed irrigare a turno i terreni, dopo due ore la terra è irrigata ma di acqua non ce n’è piú. Coloro che avevano detto che i Cervi erano pazzi, ora riconoscono che noi eravamo i savi e tutti nei dintorni ci hanno imitato.
- Anch’io, osserva il presidente, quando un terzo di secolo fa smisi di fare i fossi in collina per le vigne e di riempirli di fascine e di letame, ed invece eseguii lo scasso totale, senza concimazione e misi le barbatelle, innestate su piede americano, in terra tali e quali, quasi alla superficie, dopo aver resecate le radicette a un centimetro di lunghezza, i vicini i quali dallo stradone provinciale osservavano quel brutto lavoro, scuotendo il capo se ne andavano: il professore è uscito matto e dovrà rifare il lavoro. Quando videro però che le viti venivano su piú belle di quelle dei fossati e del letame, ci ripensarono ed ora tutti fanno come avevano visto fare a me.

Il presidente: - Ed in quanti vivete su quelle 53 biolche?
Il padre: - Io, il nipote, le quattro vedove, e gli undici figli dei figli, in tutto diciassette. I figli prima ed ora noi abbiamo faticato assai. Abbiamo ricevuto dal padrone la casa e la terra; ed avevamo quattro vacche e pochi arnesi. A poco a poco i figli comprarono due trattori, uno grande per i grossi lavori ed uno piú piccolo per i lavori leggeri; abbiamo falciatrici, mietitrici, aratri ed ogni sorta di arnesi. Il fondo di fieno e mangime è tutto nostro. Nelle stalle vivono una cinquantina di vacche ed un bel toro. Il toro lo comprammo in Svizzera, ma viene dall’Olanda ed è originario americano. Col toro ci hanno dato le sue carte; ma noi siamo stati sicuri di lui solo quando abbiamo conosciuto la figlia sua e poi la figlia della figlia. A venderlo come carne, prenderemmo pochi soldi; ma, vivo, non lo dò via neppure se mi offrono un milione di lire. Questo - trattori, macchinari, fondo di vettovaglie, vacche, toro - è il "capitale” ed è nostro, di tutti noi.
- Anche del nipote?
- Il nipote non è figlio, ma è come lo fosse. Quando uscii dalla prigione e, tornato a casa, non trovai piú i fi ...[continua]

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