Tra l'inizio dell'anno e il 3 di marzo, oltre 6000 persone sono sbarcate a Lampedusa e sulle coste italiane, quasi tutti provenienti dalla Tunisia e quasi tutti tunisini. Si tratta nella stragrande maggioranza di giovani sotto i 35 anni, tra i quali pochissime sono le donne e bambini, con un discreto grado d’istruzione, e l’aspirazione a restare in Europa, nei paesi della diaspora tunisina -Francia, Belgio, Germania, Italia. Sono, insomma, migranti (irregolari) in cerca di lavoro. Dalla metà di febbraio, quando è cominciata la rivolta, è iniziato l’esodo di migranti dalla Libia: si tratta per lo più di lavoratori egiziani e tunisini presenti in gran numero in Libia, ma anche di cinesi, pakistani, bangladeshi, filippini quasi tutti con regolare passaporto; di altri africani da paesi sub-sahariani e poi, in numero minore, da cittadini del mondo ricco, tra i quali 1500 Italiani. Si tratta di un "continuum": dalle condizioni più disperate (quella degli africani minacciati perché ritenuti mercenari del regime) a quelle gravissime di migranti derubati dei loro averi che si accalcano nei campi in Tunisia, a quella degli europei in condizioni di relativa sicurezza. Ma tutti fuggono il pericolo, la perdita del lavoro, l’incertezza.

I migranti dalla Tunisia
Gli sbarchi in provenienza dalla Tunisia, che dopo un periodo di pausa sono ripresi sia pure con minore frequenza, non sono (per ora) connessi con i profughi dalla Libia che si ammassano in territorio tunisino vicino al confine libico (l’Unhcr ne valuta il numero in 100.000). La comunità internazionale si sta muovendo, perché le condizioni di vita degli accampati peggiorano rapidamente. In attesa che possa iniziare un processo, necessariamente lungo, di reinsediamento, i profughi debbono mangiare, dormire, lavarsi. L’Italia sta organizzando un intervento massiccio di soccorso umanitario, così come la Francia. Si sarebbe potuto evitare, nelle dichiarazioni ufficiali, di giustificare l’intervento con l’opportunità di prevenire ulteriori traversate di fuggiaschi, concentrandosi sul "core business" di queste operazioni che è uno solo: alleviare le sofferenze.
Per quanto riguarda i tunisini arrivati in Italia, la loro migrazione è precedente ai fatti di Libia: si tratta - come già detto - di giovani, provenienti dal sud del paese, in cerca di una sistemazione economica in Europa. La loro partenza è da mettere in conto all’assenza dei controlli all’imbarco che le autorità tunisine non hanno esercitato in conseguenza della rivolta interna e che fino a qualche giorno fa non erano stati ripresi. La prima emergenza, dopo qualche incertezza iniziale, è stata gestita adeguatamente: gli arrivati sono stati smistati da Lampedusa in altri centri di accoglienza, in regime di semi-libertà; si è dato corso alle identificazioni e si sono avviate le procedure per coloro che hanno richiesto asilo (ma sono una piccola proporzione) o protezione internazionale. Sembra di capire che il Governo non voglia procedere a rimpatri massicci (del resto gli accordi con la Tunisia pongono dei limiti al numero dei rimpatri giornalieri) e che attenda che la situazione in Tunisia si sia normalizzata.

Un fenomeno che può essere gestito bene.
Per ora.
In merito alla sorte dei 6000 tunisini arrivati finora, e di quelli che dovessero ancora arrivare (sempre che si trattasse di qualche altro migliaio e non di esodi di altri ordini di grandezza) si possono fare le considerazioni che seguono.
1) Non è escluso che alcuni degli ospitati nei centri si allontanino nel tentativo di raggiungere i loro contatti in Italia e, soprattutto, in Francia confondendosi nella massa degli irregolari "liberi" sul territorio europeo.
2) Ad un’altra quota, anch’essa modesta, verrà riconosciuto il diritto all’asilo o alla protezione.
3) Per gli altri, dovranno mettersi in moto i meccanismi di espulsione-riammissione in Tunisia, tenendo conto dell’evolversi della situazione in quel paese.
4) Il Governo, che non ha accolto la direttiva europea sui rimpatri, si è complicato la vita con le sue stesse mani. L’introduzione del reato di immigrazione clandestina non consente di avvalersi dell’istituto del "rimpatrio volontario" previsto dalla direttiva europea, che troverebbe buon terreno di applicazione tra questi giovani, la cui migrazione è stata favorita dalla crisi politica. Il rimpatrio potrebbe essere sostenuto da qualche incentivo monetario: si tenga conto che un accorciamento dell’ospitalità ...[continua]

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