Lilia Zaouali, antropologa, è ricercatrice al Circé, Sorbonne Nouvelle/Cnrs e autrice de L’Islam a tavola dal medioevo a oggi, Laterza 2004. Ha insegnato Antropologia del mondo islamico all’Università Paris-VII. Tiene seminari presso l’Università del Piemonte Orientale. Collabora a diversi quotidiani e periodici italiani. Vive tra Parigi, Tunisi e Torino.

Da tempo ti occupi dell’immaginario delle donne musulmane, in particolare tunisine, che sono state educate secondo il modello tradizionale. Puoi parlarcene?
Da noi vigeva un detto: “La donna esce di casa due volte nella vita: la prima quando si sposa, per andare nella casa del marito, e la seconda per andare al cimitero”. La donna nasce e cresce nella casa del padre, poi si sposa e va in un’altra casa, quella del marito. Questa era la situazione delle donne della borghesia urbana. Diversa era quella delle donne degli ambienti rurali. Ma fermiamoci alla città.
La domanda diventa allora: come si formava l’immaginario delle donne che non uscivano mai di casa, che non guardavano la televisione, che non ascoltavano la radio, che non sapevano leggere, che non sfogliavano le riviste di moda? Che immaginario avevano queste donne che sono le mamme delle generazioni dagli anni ‘60 in poi, le mamme delle donne arabe di oggi che vediamo vivere in modo diverso?
Evidentemente parliamo di un immaginario che nasceva dalla tradizione orale, dai racconti, come per esempio Le Mille e una Notte, che sono originari della Persia ma che sono stati poi arabizzati e ambientati nel contesto islamico.
Ho citato Le Mille e una Notte perché è l’unica opera islamica di questo genere conosciuta in Occidente. Tuttavia, esistono tantissimi altri racconti, come i famosi Maqamat al Hariri e Kitab al-Aghani o quelli di Baibars d’Egitto. Ogni paese possiede i suoi racconti e le sue epopee che sono recitati in dialetto e non in arabo classico. In Tunisia c’è l’epopea dei Banu Hilal (figli della luna), una grande tribù araba inviata dai Fatimidi d’Egitto nel corso del XI secolo contro i principi berberi dei Banu Ziri, che costituirono una dinastia e rinnegarono la dottrina sciita per adottare quella sunnita degli Abbassidi. La loro epopea guerriera ha ispirato un ciclo epico.
Questi nomadi partiti dal Sud della penisola araba -la storia racconta a migliaia!- attraversano tutti i deserti, invadono il Maghreb e molti di loro si stabiliscono in Tunisia. Era la prima grande tappa e lì si sono insediati e hanno anche costruito delle cittadine. Pur essendo degli invasori distruttori, nel corso della storia sono diventati i nostri eroi ed è nata un’epopea che racconta il loro viaggio, la loro migrazione e la vita quotidiana negli accampamenti, con le vicende dei personaggi più illustri. Ebbene, in questa storia c’è una donna, al-Gesia, che governa la tribù con il fratello, il Sultano Hassan.
Una donna straordinaria, di madre extraterrestre e padre umano, bellissima, di intelligenza eccezionale e saggezza unica, che gli uomini della tribù consultavano per risolvere anche le questioni di ordine politico. Aveva dei doni soprannaturali. Aveva i capelli neri e lunghi, portava una corona e molti gioielli, come viene rappresentata nei quadri di pittura sotto vetro. Ecco, in questi dipinti la donna appare col viso scoperto, non porta il velo, spesso a cavallo in mezzo a scene di battaglia, è una delle poche eroine dell’epoca islamica paragonabile alle eroine dell’antichità, come Zenobia e la regina Didone, che fondò Cartagine.
Altre donne che hanno avuto un’influenza sull’immaginario tunisino sono le sante musulmane. La più famosa in tutto il mondo islamico è la mistica Râbi’a al-’Adawiyya, che ha vissuto nella seconda metà del VIII secolo a Bassora e ha sviluppato una dimensione spirituale tale da fare molto parlare di sé: ha introdotto nel sufismo la nozione di amore di Dio e l’ha espressa nelle sue poesie che sono state tramandate fino a oggi, immortalando la sua memoria (anche la figura di al-Gesia è rimasta viva grazie alla tradizione orale).
Ci sono poi le sante locali, come Saida al-Manubiya, vissuta in Tunisia nel XIII secolo, nella cui zawiya (mausoleo) si svolgono processioni e rituali religiosi ammantati di superstizione. Le zawiya, come gli hammam, erano tradizionalmente luoghi di socializzazione femminile, all’epoca in cui alle donne era vietato frequentare i luoghi pubblici.
Ho citato due tipologie estreme, figure di donne che la storia e la tradizione orale hanno conse ...[continua]

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