Henri Eckert, sociologo, è membro del Centre d’études et de recherche sur les qualifications, Céreq. Vive a Marsiglia.

La rivolta delle banlieue ha preso avvio il 17 ottobre del 2005, in seguito alla morte di due giovani in fuga dalla polizia. Cos’è successo esattamente quella sera?
Non è ancora stato definitivamente chiarito quello che è successo, ma la versione più accreditata è che c’era un gruppo di giovani che dopo aver giocato a calcio si stavano dirigendo verso casa. Avevano fretta perché affamati e assetati. Essendo perlopiù musulmani e quindi in ramadan, verosimilmente avevano mangiato la mattina prima delle sei e poi per tutta la giornata non avevano né mangiato né bevuto... erano ansiosi di raggiungere la festa serale, in cui si mangia tutti assieme. Io abito a Marsiglia, in centro, e durante il periodo del ramadan vedo le pasticcerie la sera: montagne di dolci, i loro dolci con l’olio e il miele, buonissimi.
Quello che quei ragazzi non potevano immaginare è che nelle stesse ore qualcuno aveva chiamato la polizia denunciando o paventando un furto nel cantiere accanto (poi sembra che questo furto non ci sia nemmeno stato), e allora la polizia si è mobilitata. Si sono precipitate le Bac (Brigades Anti-Criminalité), gruppi addestrati per intervenire rapidamente in caso di furti e delinquenza urbana. I giovani li hanno visti arrivare e sono scappati. Probabilmente qualcuno era senza documenti e in questi casi la prassi è trattenerli per lunghe ore, insomma non hanno voluto correre questo rischio e hanno preferito la fuga. La maggior parte di loro sono stati comunque fermati dalla polizia. Purtroppo, tre di questi hanno avuto l’infausta idea di scavalcare un muro e -nonostante i molteplici cartelli che avvertono del pericolo di morte- rifugiarsi in un trasformatore dell’elettricità dell’Edf. Due sono morti folgorati, il terzo è rimasto gravemente ustionato. Nella notte è esplosa la rabbia dei giovani del quartiere che hanno attaccato la caserma dei vigili del fuoco e incendiato alcune macchine.
La rivolta è uscita subito dal quartiere Epinay-sur-Seine “infiammando” le banlieue francesi. Nei giorni a seguire le violenze si sono propagate alle “zone urbane sensibili” (Zus) di quasi tutte le maggiori città francesi. Le Zus sono territori “infra-urbani, di solito quartieri ben delimitati all’interno della città; la definizione nasce a scopo politico-amministrativo; queste zone infatti sono soggette a specifiche “politique de la ville”. In Francia ce ne sono più di 750.
Tornando all’episodio, la dinamica dell’epilogo è ancora poco chiara. Inizialmente la polizia ha affermato che questi giovani avevano rubato materiale dal vicino cantiere (fatto non provato) per poi invece dire che non li aveva nemmeno inseguiti. Tutta questa menzogna, denunciata dagli avvocati del ragazzo sopravvissuto, ha concorso a scatenare la rabbia dei giovani, che non ci hanno creduto e hanno chiesto giustizia, in particolare di essere trattati come tutti i cittadini che vivono in Francia.
Questo episodio è quasi un esempio archetipico di quello che accade in questi quartieri: disagio sociale ed economico, tensione latente e un rapporto con la polizia assolutamente non “normale”.
In queste zone l’impressione è che il conflitto sia sempre sul punto di scoppiare. E quando qualcuno muore, la rabbia e le tensioni esplodono in tutta la loro potenza. E’ già successo: due, tre ragazzi rubano un’auto, la polizia li intercetta, li insegue, infine, nell’impossibilità di bloccarli, spara contro la macchina e ci scappa il morto. Ecco, i giovani in questione sono evidentemente colpevoli di un reato, hanno rubato una macchina, ma non meritano la pena di morte. Di qui la ribellione: non vogliono essere trattati così. Hanno l’impressione di non essere cittadini come gli altri, di non avere gli stessi diritti.
C’è davvero un accanimento della polizia francese contro questi giovani? Come si spiega un rapporto di tale reciproca diffidenza?
E’ una questione molto complessa e delicata. Intanto c’è forse un primo problema rispetto alla missione: le polizie nazionali francesi (police urbaine, Crs, gendarmerie mobile) hanno come primo mandato la difesa dello Stato.
In questa prospettiva i disordini non vengono mai considerati come l’espressione di un disagio sociale, ma immediatamente come azioni sovversive di gruppi delinquenziali.
C’è quindi anche proprio un problema culturale. Bisognerebbe riprendere un dibattito serio sulla “ ...[continua]

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