Tafí Viejo è una cittadina di venticinquemila abitanti a poco più di dieci chilometri dalla capitale della provincia argentina di Tucumán, nel nord del paese. Qui sorge una grande fabbrica, un tempo l’industria di materiale ferroviario più importante dell’America Latina, oggi quasi completamente abbandonata. Vi lavorano solamente sessantacinque persone, perse nelle immensità dei vecchi capannoni distribuiti su ventidue ettari di terreno. Miguel Ángel Herrera è entrato nella fabbrica all’età di quindici anni e oggi è uno dei dirigenti. La sua storia è un po’ quella degli stabilimenti di Tafí Viejo e, forse, dell’Argentina intera.

Parlare della storia di questa fabbrica mi è molto difficile. Sono entrato come apprendista quando avevo quindici anni. Lavoravo nella sezione delle locomotive a vapore, nel reparto chiamato bielle e casse. L’apprendistato fu una bella tappa, perché sono entrato che ero quasi un bambino, si entrava a quattordici, quindici anni, e non ci insegnavano solamente a lavorare, ma anche la fisica, la matematica, la meccanica, applicate al lavoro in fabbrica. Era un grande vantaggio per noi.
Lavorai lì come operaio finché non mi diplomai come tecnico e a venticinque anni passai a occupare un posto negli uffici, come esperto di gestione del personale. Era il 1968 e io ero ancora molto giovane. A quei tempi ebbi l’opportunità di imparare molto dai grandi maestri. Da loro ho appreso qualcosa che mi è servito molto nel mio lavoro e nella mia vita.
Tutto quello che so, della vita, del lavoro, della lotta, lo devo all’eredità di quella gente. Purtroppo in tutti questi anni di decadenza è andato tutto perso: i maestri, il sapere; è una degradazione totale, una distruzione. Mentre il mondo andava avanti, noi argentini tornavamo indietro. Nell’industria, nell’economia, nel benessere della gente. Bisogna rifare tutto da capo. Bisogna persino ricostruire l’atteggiamento dell’uomo di fronte alle cose, perché lo hanno sottomesso, lo hanno distrutto.
Gli stabilimenti cominciarono a essere costruiti nell’anno 1902. Furono terminati più o meno nel 1907, ma nella storia sono registrati come inaugurati nel 1910. Tra gli anni Trenta e Quaranta, durante la prima guerra mondiale, poiché erano l’America del Nord e l’Europa a produrre le locomotrici, l’Argentina si trovò obbligata a sostituire le importazioni e a sviluppare un’industria propria. Si decise di ampliare gli stabilimenti di Tafí Viejo, che diventarono i più importanti dell’America Latina, non per la loro estensione, che pure è di 22 ettari, quanto per la loro capacità produttiva.
Negli anni Quaranta e Cinquanta la fabbrica impiegava fino a 5500 persone. In quei tempi, l’industria di Tafí Viejo era all’avanguardia: si fabbricavano vagoni merci, locomotive a vapore; venne costruito anche un treno presidenziale.
Gli stabilimenti, così come sono stati ampliati negli anni Quaranta, sono un’opera d’arte meravigliosa. Dato che il terreno era inclinato, costruirono tutt’intorno un muro per far sì che avesse un solo livello, così che ne venne fuori una specie di cassa, e la riempirono. Fu organizzato tutto molto razionalmente e fu chiesta una consulenza in Germania, paese allora all’avanguardia.
Quando vedo ora la nostra situazione, gli edifici della fabbrica quasi abbandonati, e penso alla cura e all’efficienza con cui gli stabilimenti sono stati costruiti, mi dico che la distruzione di tutto questo è stata una politica anti-nazionale. L’Argentina negli anni Trenta era una potenza economica mondiale, viaggiava tra la quinta e la settima economia del mondo, era molto più ricca dell’Italia. Poi disgraziatamente...
Dicono che l’America è per gli americani, in realtà l’America è per i nordamericani, no? Tutti i latinoamericani sono loro sudditi, servi. E’ stato anche per colpa loro che sono stati distrutti i nostri beni più basilari, uno dei quali è giustamente la ferrovia, che rappresenta i trasporti, la comunicazione. In nessuna parte del mondo si distrugge la ferrovia, al contrario si cerca di estenderla, di renderla più moderna. In Europa oggi ci sono treni che vanno a trecento all’ora, noi facciamo i cinquanta, i trenta.

C’erano quattromila operai quando sono entrato, nel 1959. Poi è venuta la decadenza e l’attacco contro le ferrovie, che in fondo era anche un attacco al paese. Ora grazie a Dio possiamo essere protagonisti di una fase di ricostruzione. Però se guardiamo questi stabilimenti, guardiamo le ferrovie, guardiamo il Pa ...[continua]

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