Costantino Di Sante è autore di Italiani senza onore. I Crimini in Jugoslavia e i processi negati (1945-1951), edizioni Ombre Corte, 2005.

Da alcuni anni la storiografia sta faticosamente riportando alla luce i misfatti compiuti dal regime fascista nei paesi che subirono l’occupazione italiana, che contraddicono l’immagine del buon italiano, rappresentato per esempio nel film “Mediterraneo”.
Il mito del buon italiano, della sua azione umanitaria e tutto sommato pacificatrice, non è corrispondente alla realtà, anzi. Nel caso poi del confine orientale e dell’occupazione dei territori della Jugoslavia il quadro è addirittura molto inquietante. E’ necessario pertanto che si indaghi e si pubblichi tutta la verità per sviluppare una riflessione più matura e consapevole su quanto avvenuto e, soprattutto, su ciò che è stato il fascismo di frontiera.
Come si è sviluppata la tua ricerca?
Si è trattato di una ricerca in divenire. Studiando la storia delle deportazioni nelle zone d’occupazione del fronte orientale, mi sono, per forza di cose, imbattuto nelle tracce dei crimini di guerra commessi dai fascisti e dall’esercito italiano durante il periodo bellico. In seguito, negli archivi del ministero ho trovato la documentazione relativa alle accuse del governo jugoslavo sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi dall’Italia, in Slovenia, Dalmazia e Montenegro. Analizzando la documentazione si scopre come la commissione italiana, istituita in seguito alle accuse del governo jugoslavo e alle pressioni degli Alleati, sia stata creata per evitare l’estradizione dei responsabili incriminati.
Questa commissione aveva anche il compito di indagare sui crimini commessi dagli alleati e dagli jugoslavi. La commissione, sin dall’inizio, puntò a rappresentare il militare, il fascista italiano, in veste di pacificatore e non di occupante. L’altro obiettivo era quello di poter giudicare i criminali in Italia.
Quali sono le principali accuse jugoslave e chi sono i principali accusati?
Le accuse riguardano i crimini commessi nel periodo bellico, ma anche le persecuzioni avvenute nel periodo pre-bellico, in nome di un razzismo anti-slavo. I principali capi di imputazione sono: deportazione di civili, con l’internamento di circa 100.000 persone in numerosi campi di concentramento; il ruolo dei tribunali speciali di guerra, con sentenze e fucilazioni sommarie di civili, senza alcun accertamento delle prove; rappresaglie, rastrellamenti, incendi di case e di interi villaggi. Le accuse relative al periodo pre-bellico sono: snazionalizzazione e italianizzazione forzata del territorio attraverso l’emigrazione di cittadini italiani, soprattutto nella provincia di Lubiana; divieto dell’uso delle lingue madri; sevizie e torture. Il governo jugoslavo reclamò, dopo la guerra, l’estradizione sia dei massimi responsabili, ma anche dei loro subordinati. Tra i massimi responsabili possiamo citare il generale Roatta, comandante della 2° Armata, Emilio Grazioli, alto commissario per la provincia di Lubiana, il generale Robotti, comandante dell’ 11° Corpo d’Armata, l’alto commissario per il Montenegro Mazzolini e il generale Pirzio Biroli, governatore del Montenegro, Bastianini e Giunta, governatori della Dalmazia.
Come si è difeso il governo italiano?
Leggendo le relazioni della difesa, il governo italiano, pur riconoscendo e ammettendo diverse delle accuse, tenta di presentare l’operato italiano in chiave pacificatrice tra i diversi gruppi etnici, in perenne conflitto tra loro.
Inoltre, poiché durante la guerra non si riconosceva ai partigiani jugoslavi lo statuto di belligeranti, l’esercito italiano, per difendere i propri soldati, era legittimato a compiere azioni punitive contro i cosiddetti ribelli. Infine, come ultima ratio, diversi imputati vengono, per così dire, assolti a priori; i crimini commessi non sono altro che l’applicazione degli ordini ricevuti dai propri superiori, ai quali non si poteva assolutamente disobbedire.
L’ordine supremo, ovviamente, veniva da Roma e dunque dai gerarchi fascisti. E’ una forma di difesa abbastanza fragile, in quanto implicitamente si riconoscono le proprie colpe.
C’è un nesso tra questi processi negati e la vicenda delle foibe?
Sì, un nesso c’è, poiché facendo leva sui crimini commessi contro gli italiani dopo l’8 settembre, l’Italia afferma che se si vogliono processare i responsabili italiani, altrettanto si debba fare con i responsabili jugoslavi. In questo senso, sen ...[continua]

Esegui il login per visualizzare il testo completo.

Se sei un abbonato online, clicca qui accedere, oppure vai alla pagina Abbonamenti per acquistare l'abbonamento online.
Gli abbonati alla rivista hanno diritto all'abbonamento online gratuito!