Maurizio Quadrio ha 41 anni ed è professore associato al Politecnico di Milano nella Facoltà di Ingegneria 4 (Ingegneria Industriale), dove insegna Aerodinamica e Turbolenza nel corso di laurea in Ingegneria Aerospaziale. Fa inoltre parte del Collegio docenti del corso di Dottorato in Ingegneria aerospaziale.

Quando hai scelto di studiare Ingegneria avevi già degli interessi ben definiti?
Affatto, dopo il liceo classico ero indeciso tra Fisica, che però mi sembrava un po’ poco applicata, e Ingegneria, che invece mi pareva l’opposto. Avevo uno zio che insegnava alla facoltà di Fisica di Pavia e non mi sarebbe dispiaciuto studiare in quella università, poi però mio zio è morto proprio l’anno della mia maturità e io, siccome ero piuttosto squattrinato, ho dovuto darmi da fare tentando una serie di concorsi per i collegi. Tra questi l’unico ad avermi notificato un risultato positivo in tempi utili per l’iscrizione era stato un collegio di Milano, solo dopo sono arrivati anche i vari Ghislieri e Borromeo, e a Milano ho preferito iscrivermi a ingegneria: la scelta quindi è stata dettata da necessità pratiche. In effetti nell’estate tra gli ultimi due anni di liceo avevo avuto la possibilità di fare un corso di orientamento per la Scuola Normale Superiore di Pisa, ma ero rimasto terrorizzato dai compagni di corso, mi parevano completamente fuori dalla realtà. Non so se riflettessero in qualche modo quelli che poi avrebbero effettivamente frequentato la Normale, ma decisi di non fare il concorso di ammissione, anche se i professori mi erano piaciuti. Tornando però alla mia scelta di Aeronautica, beh, due giorni prima della chiusura delle iscrizioni mi ero preso il fogliettone con le diciture dei corsi: Aeronautica era la prima in ordine alfabetico, e soprattutto aveva al lunedì mattina e pomeriggio le due mezze giornate settimanali di riposo, il che mi avrebbe permesso di passare a casa tre giorni anziché due. Del resto allora il primo anno era uguale per tutti e durante quell’anno ho potuto constatare che avevo scelto davvero la specializzazione meno ingegneristica, la meno compromessa con l’applicabilità immediata. In effetti io ho un’idea un po’ deteriore dell’ingegneria: l’ingegnere è quello che deve risolvere il problema e deve farlo entro determinati tempi. Ecco, io sono convinto che il limite di tempo coincida con un limite della qualità del lavoro. Per questo non ho mai fatto un lavoro di tipo ingegneristico, mi disturberebbe che qualcuno dall’esterno ponesse dei limiti alla mia ricerca, e ancor di più di dover fare un lavoro con un inizio e una fine, senza poter essere libero di seguire le mie intuizioni.
Che tipo di studente universitario sei stato?
Ho avuto un impatto neutro con l’università, a diciotto anni io non ero particolarmente maturo e l’ambiente d’Ingegneria non era il massimo. Insomma, all’università non sono cresciuto molto. Sì, studiavo, ma le esperienze importanti sono state altre. Al Politecnico i docenti, soprattutto nei primi anni, scarseggiavano. Avevamo classi di 400 persone, era una gara al massacro, perché si sapeva che di queste solo un centinaio sarebbe arrivato in fondo. Il docente cosa poteva fare? Veniva lì, faceva la sua lezione e cercava d’andarsene il prima possibile, esattamente quello che farei io oggi in quelle condizioni. Se ho deciso di restare in università è stato in seguito a una crescita personale dovuta ad esperienze estranee all’ambiente accademico. Inoltre procedendo verso la laurea sono passato allo studio di materie più specifiche, più interessanti, e poi le classi si assottigliavano e il rapporto coi docenti diventava più stretto. Insomma ho cominciato a conoscerne bene qualcuno e mi sono reso conto che, pur con tutti i limiti, quello era un ambiente umanamente buono, buono in maniera anomala rispetto al resto dell’ambiente accademico.
Il quinto anno poi ho avuto la mia crisi e me ne sono andato per il mondo con la moto. Quando mi sono deciso a tornare ho terminato gli studi e così mi sono laureato: un anno fuori corso, ma sempre in anticipo sulla media, che per gli ingegneri era di oltre due anni fuori corso. In quei due anni di pausa, oltre alla moto, avevo anche assolto agli obblighi di leva. Sarei potuto rientrare fra gli esonerati per l’alluvione dell’87, però mi spiaceva approfittarne e così ho deciso di prestare egualmente servizio civile volontario. Mi ero trovato un posto all’interno di uno strano esperimento che si faceva al piano ...[continua]

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