Souad Sbai è presidente della Confederazione delle associazioni della comunità marocchina in Italia, dirige inoltre il mensile Al Maghrebiya.

Appena eletta a capo della Confederazione delle associazioni della comunità marocchina in Italia, ha subito chiesto maggiore trasparenza nell’elezione degli imam italiani...
Non so perché parlare di trasparenza abbia suscitato tanto clamore. Non abbiamo detto niente di strano, né chiediamo chissà quali controlli, chiediamo solo che gli imam, dato che insegnano ai bambini, o comunque fanno dei sermoni, parlino un po’ di italiano e conoscano l’arabo e sappiano anche scriverlo un po’. Tutto qui. Adesso siamo al punto che la nostra stessa comunità non li capisce quando parlano. Ci chiamano in continuazione proprio per denunciare questo fatto. Per cui non vedo perché questi imam non possano sottoporsi a un percorso formativo. In fondo a Roma c’è la moschea più grande d’Europa, perché non fare dei seminari in questo senso?
E poi occorrono maggiori controlli: non è possibile che chiunque abbia i soldi possa affittare un garage e farci una moschea.
Come potrebbe funzionare? Chi dovrebbe decidere? La comunità?
No, per carità. Non vogliamo questo tipo di onere, abbiamo già tanti altri problemi.
C’è un problema di rappresentanza della comunità, in particolare dei marocchini laici...
Sì, soprattutto c’è un problema di rappresentanza dei musulmani laici, che sono il 95%. La maggioranza è democratica e non può accettare un capobanda come rappresentante.
A Roma si sono ritrovate 68 associazioni e si è deciso, si è votato. E’ stato un evento aperto, chi voleva partecipare era il benvenuto, anche i giornalisti. Ci sono stati vari momenti di incontro, e alla fine c’è stato il voto, in base al quale si è deciso di costituire questa confederazione per avere comunque un punto di riferimento. Mi sembra un passo importante. So che gli arabi si stanno muovendo nella stessa direzione, stanno organizzando anche loro un gruppo che rappresenti gli arabi in Italia.
Come ha accolto la cosa la vostra comunità?
La nostra comunità ha accolto con grande favore questa iniziativa. Siamo arrivati a confederare 125 associazioni. Non ci sono state reazioni negative nemmeno da parte di altre comunità, in fondo noi siamo cittadini marocchini e parliamo a nome dei marocchini.
Purtroppo, c’è da dire che questa confederazione è nata anche per coprire un’assenza delle istituzioni italiane. Assenza e ignoranza imperano, anche e soprattutto a livello politico: si continua a credere che le moschee siano rappresentative quando non lo sono. Lo si è visto anche nelle elezioni tenutesi per il consigliere aggiunto: in molte città italiane non hanno vinto certo gli elementi più fondamentalisti, ma i membri della nostra associazione, che rappresentano la società civile laica, quella che auspica una vera integrazione con gli italiani.
E in Europa com’è stata accolta?
Con molta curiosità. Sono venuti giornalisti da tutto il mondo, e ne hanno parlato. E anche con sorpresa. In fondo non ci si aspettava che una confederazione di questo tipo potesse nascere proprio qui in Italia. Io invece non ci vedo niente di strano, conosco la nostra comunità, e so che ci sono persone bravissime, imprenditori, medici specializzati, primari, chirurghi, cardiologi. E dei piccoli di sette-otto anni che hanno vinto dei premi di poesia. Purtroppo nessuno ne parla, è una componente della nostra società che non ha nessuna visibilità. Si vedono solo i fanatici, quelli sì che fanno notizia.
Allora noi ci siamo mossi per dire: basta, non ce la facciamo più. Non c’è solo l’integralismo, esiste anche la componente culturale, che vogliamo difendere e promuovere. Poi, per carità, se qualcuno prende posizioni sbagliate siamo noi i primi a chiedere maggiori controlli.
Ci sono molti marocchini che si stanno attivando per creare centri culturali e biblioteche dentro le moschee, e il loro approccio è moderato e tranquillo. Poi, certo, c’è qualcuno che parla a vanvera, ma sono persone isolate, e se voi italiani gli avete dato voce sono problemi vostri, in cui noi non vogliamo entrare. Prendiamo ad esempio quelli che vogliono togliere il crocifisso dalle scuole: questi hanno parlato a titolo personale, ma nessuno è venuto da noi a chiedere cosa ne pensassimo.
Io ho tante amiche e ne abbiamo parlato, e loro sono state le prime a non capire tutta questa confusione: “Perché lo vogliono togliere? Che c’entra? Non è il nostro obiettivo. ...[continua]

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