Roberto Festa ha studiato ed insegnato negli Stati Uniti. Attualmente è redattore di Radio popolare e collabora a La Repubblica e al settimanale Diario. Ha pubblicato Il mondo da Sheynkin Street. Reportage sulle libertà civili (Elèuthera, 2003) e curato Quel che resta di un sogno. Le nuove tesi dei “neoprog” Usa (Einaudi, 2004), un’antologia di scritti di autori della sinistra americana.

Molti osservatori sottolineano come il “fenomeno Bush” sia l’effetto di una trasformazione profonda degli Stati Uniti, che vede il neoconservatorismo come una presenza culturale e politica che affonda molto profondamente nelle vene dell’America e che non sarà facile superare…
In effetti George Bush junior ha, in qualche modo, un’importanza storica perché è riuscito a diventare il collante attorno a cui si sono raccolti una serie di movimenti, di gruppi, di interessi, che nella politica americana hanno sempre camminato parallelamente,ma che prima di lui non erano mai arrivati a una sintesi forte e profonda come quella trovata ora. Ovviamente ci sono i conservatori classici, quelli da sempre repubblicani, che si rifanno al conservatorismo americano tradizionale. Questi si raccolgono attorno a una serie di riviste, come la National Review, che in passato avevano sostenuto Reagan e George Bush senior e che rappresentano ben precisi interessi, quali quelli della macchina militare e industriale statunitense, che non a caso li ha sempre appoggiati. Un’altra forte presenza che si è aggregata attorno a Bush è quella dei “neoconservatori”. Sarebbe lungo farne la storia, ma questa tendenza è sostanzialmente composta da un gruppo di persone -molte delle quali, tra l’altro, vengono dalla sinistra americana, dai democratici, e sono di cultura e tradizioni ebraiche- che, a partire dagli anni ‘70, hanno cominciato a sviluppare delle concezioni e delle teorie che si rifanno a un visione molto forte della cultura e della democrazia occidentale. In sostanza, in base a una specie di radicalismo democratico, l’egemonia americana sul mondo viene interpretata come una sorta di missione per la creazione della democrazia mondiale. Oltre a queste due tendenze, fanno riferimento a Bush anche le “truppe” dell’evangelismo fondamentalista. Si tratta di una componente importantissima perché gli Stati Uniti sono un paese estremamente religioso -il 90-92% degli americani si definisce credente- ed in questo momento gli evangelici rappresentano circa il 40% della popolazione. L’evangelismo conservatore, cioè quello di pastori fondamentalisti come Pat Robertson o Jerry Fallwell, che all’interno dell’evangelismo è fortissimo, è sempre stato vicino ai repubblicani, ma non si era mai identificato completamente con essi. La maggioranza dei repubblicani infatti era rappresentata da liberal-conservatori non particolarmente integralisti. E’ stato proprio Bush junior a permettere questa identificazione. Bush junior, come si sa, viene da una storia di “reborn christian”, di “cristiano rinato”, ed è in virtù di questo che, a metà degli anni ‘80, è entrato in contatto con questi gruppi fondamentalisti diventandone il rappresentante politico. E’ stato lui, per esempio, che li ha fatti votare in massa per il padre, nell’87. L’importanza storica di Bush junior sta quindi, come dicevo, nell’essere riuscito a sintetizzare nella sua politica, e negli uomini che si è messo attorno, queste tre correnti del pensiero, della politica e della società americani. E’ per questo che nel suo governo troviamo conservatori classici come Rumsfeld e Cheney, neoconservatori come Paul Wolfowitz o Richard Perle, e fondamentalisti religiosi come John Ashcrof. Proprio perché la forza di Bush sta nella fusione di queste diverse forze, non bisogna sovrastimare l’importanza dei neoconservatori all’interno della società e del governo americani.
Certo sono importanti, ma sono essenzialmente dei laici e non sarebbero riusciti a fare quello che hanno fatto, sia in politica interna che estera, se non ci fosse stata la saldatura con questi altri gruppi della società americana, in primo luogo gli evangelici.
Ma questo blocco culturale e sociale che Bush junior è riuscito a coagulare quanto rispecchia l’intera realtà statunitense? La divisione fra Stati centro-meridionali, reazionari e fondamentalisti, e Stati della costa orientale, più laici e liberali, è veramente profonda?
Gli Stati Uniti sono un paese enorme, culturalmente assai diversificato. In Italia non ci rendiamo conto di qua ...[continua]

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