Margherita Fusco, assistente sociale a Barra, ha 51 anni e vive a Torre del Greco.

Sono arrivata al Comune di Napoli in un periodo molto particolare, subito dopo l’epidemia di colera del settembre del ‘73; avevo 21 anni, mi ero appena diplomata e stavo per sposarmi. C’era stata una delibera per delle assunzioni e così feci domanda. Il mio primo lavoro è stato con la merda: si andava a casa di quelli che avevano avuto il colera a raccogliere le feci con delle bottigline di acqua peptonata. Ero stata assegnata al dipartimento igiene e non è che questo lavoro mi piacesse molto, tra l’altro spesso mi chiedevo cosa rischiavo. Ho saputo solo in seguito che a quel tempo il Comune di Napoli aveva ricevuto parecchi soldi per i rischi legati al colera; certo non li avevano dati a noi neoassunte, che infatti lavoravamo senza prendere alcuna precauzione. La cosa che comunque mi disturbava di più era che non si faceva servizio sociale: non vedevo le persone, non c’era nessun nesso tra il lavoro che facevo e quello che avevo studiato. Dopo le magistrali avevo frequentato una scuola per assistenti sociali tenuta dalle suore e riconosciuta dalla Regione. Ci avevano fatto capire che in quel modo si poteva trovare lavoro più in fretta. In effetti sono stata fortunata perché nel ‘74 il Comune fece quelle trenta assunzioni e non ne avrebbe fatte di nuove sino al 1980. Quando ho cominciato io al Comune di Napoli c’erano solo dieci assistenti sociali; noi trenta fummo scelte in base al voto di diploma, io avevo preso dieci e lode con una tesi sulla formazione delle assistenti sociali. Mi ero diplomata col professor Sena della fondazione Stefano Falco, che si occupava appunto della formazione dei giovani, un po’ l’equivalente dell’Umanitaria di Milano. Anche durante la scuola avevo sempre avuto degli ottimi tutor; il tirocinio l’avevo fatto all’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa e poi per un periodo al quartiere Cannola, nella zona di Poggioreale.
Insomma, fin dall’inizio mi sono trovata di fronte a questioni difficili; una delle domande allora era quanto potesse incidere l’assistente sociale in una situazione come il manicomio. Là dentro ho incontrato Laszlo Toth, quello che aveva sfregiato la pietà di Michelangelo, ho incontrato un siciliano che aveva stuprato e ucciso le sue nipotine, ma anche un certo Abruzzese che aveva ucciso il padre perché era un alcolizzato cronico che picchiava la madre. Pur in età molto giovane ho così conosciuto situazioni tremende. Eppure, arrivata al Comune questa preparazione sembrava non interessare, così per un po’ mi hanno fatto raccogliere le feci, e poi mi hanno messo nella stanza dove invece ci si occupava dei morsi di cane: tutti quelli che venivano morsicati dai cani randagi arrivavano da noi per avere indicazioni. Io avevo l’impressione di perdere tempo, sarà anche per via della mia storia familiare ma io ero abituata a badare al sodo e là mi sentivo inutile.

Sono cresciuta in una famiglia numerosa, io e i miei fratelli non abbiamo avuto né tante coccole né tanti divertimenti, abbiamo conosciuto immediatamente la vita e imparato ad attrezzarci per andare avanti. Mio padre lavorava all’Italsider e ci ha sempre garantito l’essenziale: ci ha dato da mangiare e ci ha mandato a scuola; certo, avevamo desiderio di tante cose, ma ci accontentavamo. Poi lo accusarono di essere comunista e lo cacciarono, per cui passò gli altri 30 anni della sua vita a cercarsi dei lavori in giro; gli ultimi 15 anni lavorò in una piccola fonderia a Barra. Quando lo licenziarono dall’Italsider ero piccola, ricordo che per noi fu una tragedia, lui usciva tutte le mattine in cerca di lavoro e mia madre faceva come la formica, a noi diceva sempre che non c’era niente perché non chiedessimo, intanto lei cercava di mettere da parte qualcosa per far fronte ai periodi in cui papà restava senza lavoro. All’epoca mio fratello camminava con l’Unità in tasca e lo indicavano col dito.
La madre e la sorella di mio padre erano cattoliche bigotte, il comunista era visto come il diavolo e io questo l’ho vissuto sulla mia pelle. Anche se mio padre ci ha fatto comunque fare la comunione; io a sette anni ho fatto tutto insieme, cresima, battesimo e comunione; ero molto brava, avevo imparato a memoria che Dio è l’essere perfettissimo, Signore del cielo e della terra, prendevo anche i confetti, perché a chi rispondeva bene il prete gli dava ‘o cunfettiello.
Appena assunta mi ero iscritta al sindacato, alla ...[continua]

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