Cristina Lamieri, sposata, con due figli, lavora a Bologna e vive in un paese della provincia.

Ho conosciuto mio marito 21 anni fa, avevo diciassette anni. Ci siamo incontrati al mare, d’estate. Allora lui non era praticante. Veniva da Tripoli. E’ stata una frequentazione estiva, in quel periodo andavo ancora a scuola. Ci siamo scambiati i numeri di telefono, ma pensavo fosse una cosa finita lì. Lui aveva 26 anni, era lì per lavoro, essendo un ingegnere marittimo stava su una nave ferma a Ravenna. Aveva preso un appartamento in affitto vicino a quello dei miei genitori, l’ho conosciuto così. Io ero con una mia amica, e quelli della nave in quel periodo viaggiavano con delle gran mazzette di dollari in tasca. Io e la mia amica abbiamo colto l’occasione. Ci portavano fuori, al ristorante, a ballare... la classica storia estiva, che poi non ci si vede più.
Poi lui è partito per il Sudan e dopo qualche mese, quando io ormai non ci pensavo più, mi ha telefonato e mi ha detto: “Sto partendo, arrivo”. Non mi aveva mai telefonato in quei mesi perché era impossibilitato a scendere dalla nave. Ormai era una cosa lontana, per me, non me lo aspettavo proprio: mi ha preso alla sprovvista. E’ venuto a casa mia, dai miei genitori, ed è stato ospite una settimana. Dopodiché è ripartito con la promessa che, una volta che io avessi finito gli esami di maturità, mi avrebbe mandato il biglietto per raggiungerlo a Cipro, dove si trovava più stabilmente per motivi di lavoro. E così è stato.
Quando sono partita avevo diciotto anni, era la prima volta che viaggiavo da sola, e fu un’avventura, una vera avventura. Sono arrivata a Cipro e lui mi stava aspettando. Poi da lì mi sono imbarcata con lui. Sono rimasta per due anni su una nave merci, ero l’unica donna in mezzo a sette, otto marinai. C’erano degli egiziani, dei libanesi e dei siriani. Mi divertivo molto, io sono sempre stata un po’ un maschiaccio, e mi sentivo a mio agio, per passare il tempo sbucciavo anche le patate. Lui lavorava giù in sala macchine, dove c’era un rumore terribile e un caldo insopportabile, così io rimanevo su a prendere il sole o a sbucciare patate. Questo per due anni: stavo un mese in nave, poi un mese a casa, poi un altro mese in nave e un altro a casa. Fino a che abbiamo deciso di stabilirci a Cipro, dove abbiamo preso una casa; lui inizialmente ha continuato a fare questi viaggi e io stavo da sola quattro giorni alla settimana circa. Per un po’ di tempo è andata avanti così poi ha aperto un ufficio “off shore” ed i suoi viaggi sono terminati.
Dopo circa un anno è nata mia figlia, l’anno successivo mio figlio, io sono venuta in Italia per partorire, sono ritornata giù per altri sei mesi e dopo ci siamo trasferiti definitivamente in Italia. Quelli sono stati anni molto avventurosi, con alti e bassi. Siamo stati anche bombardati. Nel frattempo era scoppiata la guerra in Libano e noi eravamo lì con la nave che aveva fatto scalo. Era l’82 o l’83; Arafat si nascondeva in Libano e i siriani bombardavano. Una cosa che mi è rimasta molto impressa è che in quel periodo io non potevo telefonare a casa ai miei, e loro sapevano che io ero in Libano e sentivano le notizie. Quando sono tornata a casa mia mamma era sconvolta: “Non dire nulla che in televisione ho visto uno che sembrava tuo marito, con la stessa tuta da lavoro, e portava una ragazza in braccio e mi sembravi tu, e io non potevo chiamare”. Poveretta, lo capisco solo adesso che ho dei figli quanto può aver patito. Noi del resto non riuscivamo ad uscire dal porto, era troppo rischioso. In Libano ci sono le montagne che scendono fino al mare e bombardavano direttamente il porto perché nessuno potesse uscire o entrare. Insomma eravamo bloccati. Fino a che mio marito ha deciso di rischiare. Abbiamo preso una bomba, ma ce l’abbiamo fatta. Mio cognato è rimasto ferito perché si è rotto un oblò e gli sono arrivate le schegge in viso.
Un’altra volta invece eravamo a terra e ci eravamo nascosti in una specie di rifugio nella casa di una mia cognata; saremo stati una quarantina. Mio marito non c’era e io ero sola là come un cane, in mezzo a tutta questa gente che parlava una lingua che non conoscevo. Fu terribile.

Dopo la nascita dei miei figli, dato che Cipro non era né il mio paese né quello di mio marito, e che in Libano era impossibile vivere per via della guerra, ci siamo trasferiti in Italia.
All’inizio, dico la verità, mio marito mi faceva pena. Cipro è vicina al Libano, e con la ...[continua]

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