Cesare Moreno, insegnante napoletano, oggi “maestro di strada”, è coordinatore del modulo di San Giovanni Barra del progetto Chance.

A Napoli il 6 e 7 maggio si terrà un’assise cittadina su infanzia e adolescenza rivolta a istituzioni e operatori. Voi di Chance siete tra i promotori; ce ne puoi parlare?
Napoli è sicuramente una città giovane: 25 abitanti su cento hanno meno di 18 anni. Può essere una città per i giovani?
Una parte importante dei giovani non può godere pienamente dei diritti di cittadinanza: molti evadono la scuola dell’obbligo, troppi vanno incontro ad insuccessi scolastici, interrompono gli studi, pochi fruiscono della formazione professionale, tutti hanno difficoltà di accesso al mercato del lavoro, e infine troppi fanno esperienza di lavoro nero e supersfruttamento in giovane età. Tra l’altro, in una situazione generale di difficoltà, le persone più vulnerabili possono cedere a tentazioni distruttive ed autodistruttive dandosi al crimine, perdendosi nelle dipendenze.
La città da molto tempo ha organizzato una risposta a questo affrontando la gamma dei problemi nelle varie le fasce d’età: dai nidi per i più piccoli, ai progetti di prevenzione e recupero scolastico; ai progetti riguardanti la formazione professionale e l’inserimento lavorativo, al sostegno alle famiglie indigenti, ai progetti riguardanti la cura del benessere fisico e psichico dei giovani e delle loro famiglie. In molti casi i progetti realizzati a Napoli ‘fanno scuola’ e sono considerati risposte efficaci ed innovative a problematiche riguardanti tutte le metropoli del mondo.
Nel fare questo le autorità hanno utilizzato una vasta rete di volontariato e cittadini attivi che nell’ambito delle professioni hanno adottato come propria missione l’accoglienza dei giovani nella comunità civile promuovendone i diritti di cittadinanza.
Si tratta di un vero e proprio movimento che da almeno venti anni percorre la città ed è molto più vasto di quanto possa risultare dal catalogo ufficiale dei progetti e delle iniziative in favore dell’infanzia e dell’adolescenza: migliaia di insegnanti, operatori dei servizi sociali, educatori, persone che istruiscono i giovani nei campi dello sport, delle arti e mestieri, dell’artigianato; operatori della salute, ricercatori nel campo delle scienze umane e sociali, semplici cittadini che dedicano attenzione e cura ai giovani e alle loro difficoltà.
Le leggi nazionali e il potere locale in molti casi hanno saputo intercettare questo movimento utilizzandone le potenzialità creative e le capacità operative: la legge 285/97 per la promozione di diritti ed opportunità per l’infanzia e l’adolescenza è stata la prima occasione in cui con intelligenza la città ha saputo utilizzare da un lato le risorse statali dall’altro il potenziale umano locale. Altre importanti leggi offrono ulteriori possibilità: la legge 328/2000 per l’integrazione dei servizi socio-sanitari; le diverse leggi che hanno istituito una formazione professionale di pari dignità rispetto alla formazione scolastica, cosicché oggi esiste una gamma completa di opportunità educative che dovrebbe consentire a ciascun giovane di trovare il percorso a lui più adatto; la modifica del titolo quinto della costituzione che istituendo l’autonomia funzionale delle scuole apre la strada a iniziative innovative nel campo della formazione e dell’educazione in collaborazione con le autorità locali e con il territorio. Si tratta di una gamma di opportunità che offre al vasto movimento di cittadinanza e solidarietà attivo nella città nuovi canali di espressione e di impegno attivo.
Accanto a tutto questo esistono però anche pericoli e segnali di involuzione.
In circa sei anni di attività della legge 285 e nei venti anni che ci separano dai primi interventi di grande portata sul fenomeno della dispersione scolastica, non si è costituita una solida rete inter-istituzionale, non si è strutturata una cultura professionale integrata tra diverse professioni e servizi. Esistono forti collaborazioni e integrazioni ma sono ancora troppo legate alle individualità e alla buona volontà dei singoli; il sistema non cresce e non apprende. Abbiamo visto in troppe occasioni che un cambio di dirigente, una nuova congiuntura politica hanno demolito in poco tempo il lavoro di anni; in troppi casi i progetti sono frammentati ed effimeri nel tempo; in troppi casi le buone idee e le buone pratiche sono giocate per emergere e competere e non per collaborare.
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