Drinka Gojkovic è direttrice del centro di documentazione di Belgrado.

Come nasce il centro di documentazione “Guerre 1991-99”?
Lo abbiamo costituito nel maggio 2001 all’interno di Radio B92. Si è trattato di un’evoluzione naturale dell’attenzione che negli anni precedenti avevamo mantenuto nei confronti delle guerre e dei nazionalismi, e insieme di un tentativo di richiamare l’attenzione del pubblico su queste tematiche anche una volta che le guerre fossero finite. Era infatti chiaro che anche dopo la caduta di Milosevic nessuna struttura politica, per quanto nuova, avrebbe voluto affrontare questo problema. La vicenda delle guerre del decennio scorso avrebbe potuto molto facilmente scomparire o dissolversi in una sorta di oblio…
Quali sono le vostre attività?
Abbiamo aperto una libreria che raccoglie testi sul conflitto iugoslavo, con l’intenzione di mettere insieme tutto quello che è stato scritto nella regione e fuori, anche in altre lingue. La libreria è aperta al pubblico e presenta anche una collezione di video e documentari sull’argomento. Inoltre raccogliamo le storie orali, i racconti dei rifugiati, degli ex combattenti, delle persone “normali”, le cui vite sono state attraversate dalla guerra. Si tratta di un progetto regionale, che non coinvolge solamente la Serbia ma che viene portato avanti anche in Bosnia e in Croazia. Cerchiamo infine di raccogliere testimonianze anche di rifugiati che sono andati nei cosiddetti paesi terzi, come Stati uniti, Canada, Nuova Zelanda o Europa.
Si tratta di uno sforzo gigantesco. Come riuscite a sostenerlo?
Da un punto di vista pratico, tra i nostri primi sponsor abbiamo avuto innanzitutto il Ministero degli Esteri tedesco, poi la Fondazione Mott (Usa), la Casa della Libertà, un’istituzione americana; beneficiamo inoltre di un sostegno, modesto ma molto significativo, da parte del Ministero per la Cultura serbo. Sottolineo quest’ultimo donatore perché per noi è molto importante cercare di provocare e di coinvolgere le nostre istituzioni in quello che facciamo.
Come utilizzate le testimonianze raccolte?
Intanto le rendiamo pubbliche. In questo momento stiamo lavorando su una pubblicazione cartacea di racconti orali. Alcuni estratti li abbiamo già pubblicati sul nostro sito. Stiamo raccogliendo inoltre tutti i discorsi pubblici di Milosevic, fatti in situazioni formali o informali. Anche su questa raccolta stiamo lavorando per farne una prossima pubblicazione. Come Centro di Documentazione infine organizziamo dibattiti pubblici sulla questione delle guerre, invitando ospiti dalla regione o dall’estero, proiettiamo film in presenza degli autori, presentiamo libri.
Che reazioni avete riscontrato nei media e in generale nella società rispetto al vostro lavoro?
Tutte le nostre iniziative vanno in onda sulla televisione di B92, che ora si può vedere in quasi tutta la Serbia. Le iniziative legate alla raccolta delle storie orali, invece, vengono spesso trasmesse alla radio, in particolare all’interno del programma settimanale Catarsi, che comprende interviste fatte a vittime di guerra delle diverse parti… Queste storie hanno un impatto molto forte sugli ascoltatori. Da quando siamo presenti in tv con i dibattiti pubblici, infatti, ci siamo imbattuti in reazioni forti, di segno diverso, sia molto positive che molto negative. A volte rimaniamo stupiti nel constatare quante persone seguano le nostre trasmissioni televisive e come si appassionino alle cose che vengono dette e discusse…
E’ impressionante la quantità di telefonate che arriva, per non parlare del numero di persone che incontrandoti per la strada ti fermano per congratularsi o al contrario per criticarti duramente…
Dunque una reazione di forte interesse. Anche di stupore?
In Serbia per un lungo periodo siamo stati sottoposti a un flusso di informazioni contraddittorie e conflittuali, che non si esauriva nella parzialità dei resoconti veicolati dai media dello Stato. Il conflitto nel flusso delle informazioni ha prodotto una grande confusione nella popolazione lungo tutti gli anni ’90. Non direi che la gente non sapesse quello che succedeva. Sapeva e non sapeva in relazione a quanto decideva individualmente di investire nella ricerca di ulteriori informazioni. Questa ricerca individuale non era peraltro facile. Non tutti avevano il tempo o il denaro per comprare giornali, che in quel periodo di impoverimento totale erano piuttosto cari, non parliamo dei giornali stranieri… Non tut ...[continua]

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