Jakob Finci è presidente della comunità ebraica bosniaca.

A che punto sono i lavori preparatori della Commissione sulla Verità e Riconciliazione in Bosnia Erzegovina?
Tutti i lavori preparatori sono conclusi. In particolare, abbiamo predisposto una proposta di legge-quadro in accordo con i rappresentanti del Tribunale dell’Aja. Non vogliamo che il lavoro della Commissione interferisca con quello del Tribunale e viceversa.
Chi sosterrà finanziariamente la Commissione?
Non appena la legge sarà votata in Parlamento organizzeremo una mini-conferenza dei donatori. Il costo totale per sostenere la Commissione, che lavorerà per trenta mesi -sei mesi di lavori preparatori, diciotto mesi di raccolta di testimonianze e sei mesi per il rapporto finale- sarà tra i dodici e i quindici milioni di euro. Speriamo di raccogliere questi fondi in parte localmente, in parte da donatori internazionali. Abbiamo già ricevuto degli impegni in questo senso da parte di alcuni paesi e di alcune organizzazioni internazionali. Questi quindici milioni possono sembrare una cifra enorme ma si tratta di meno dell’1% di quanto la Nato spende in Bosnia ogni anno per la forza multinazionale di pace.
Alcuni suggeriscono che invece di tante Commissioni-paese per la ex Jugoslavia sarebbe più utile una Commissione unica, con una dimensione regionale. Cosa pensa di questa proposta?
E’ chiaro che si tratta di una questione regionale, ma credo che ogni paese debba cercare di risolvere i propri problemi. Non possiamo aspettarci che dalla Serbia parta un’indagine su Srebrenica o che in Croazia si raccolgano testimonianze su quanto è accaduto in Kosovo; penso che ogni paese debba affrontare autonomamente le varie questioni. Allo stesso tempo dobbiamo essere assolutamente aperti e disponibili alla cooperazione con le altre Commissioni che operano nella regione.
Il secondo problema, rispetto alla Commissione unica, riguarda quale autorità dovrebbe avere il potere di nominarne i membri, quale “l’ombrello” sotto il quale questa Commissione dovrebbe lavorare. Dico questo perché penso che il risultato più importante della Commissione sudafricana sia stato il fatto di essere una Commissione dello Stato. Secondo noi è lo Stato l’autorità che deve sostenere tali Commissioni. Un gruppo di Ong provenienti da diversi paesi, ad esempio, non potrebbe realizzare la Commissione di cui abbiamo bisogno localmente. Nella fattispecie si tratta di una questione bosniaca, che devono affrontare i bosniaci, così come ad esempio i serbi dovrebbero affrontare le questioni che li riguardano specificamente.
Quando dice i bosniaci allora intende lo Stato?
Non solo. La caratteristica importante di questo progetto è che viene portato avanti dalla società civile, dalle Ong. Alla fine del percorso tuttavia è importante che ci sia il sigillo dello Stato per dimostrare che non si tratta solo dell’azione di pochi lunatici della società civile... Tutti i diversi soggetti devono collaborare insieme cercando di raggiungere una sorta di consenso.
Come funzionerà concretamente?
Come dicevo, la Commissione lavorerà per trenta mesi. Dopo l’approvazione della legge, il Parlamento sceglierà sette commissari provenienti dai diversi gruppi etnici e dalle diverse aree del paese. I membri della Commissione saranno proposti dalla società civile per un numero totale di quaranta, e il Parlamento ne sceglierà sette da questa lista. Questo gruppo di sette persone adotterà il regolamento procedurale, che è già in fase di elaborazione, e organizzerà poi tredici uffici sul campo, perché la gente possa raggiungere le sedi locali della Commissione in meno di un’ora d’auto. Questi uffici saranno aperti senza prendere in considerazione i confini inter-entità, le circoscrizioni cantonali o altro, ma verranno dislocati in modo da rendere possibile e facile l’accesso alla Commissione da parte di tutti. In questi uffici sul campo ci aspettiamo di ascoltare da 5.000 a 7.000 testimoni.
La gente dovrà semplicemente raccontare la propria storia?
Sì, la Commissione non avrà una funzione giudicante né investigativa ma avrà bensì un ruolo simile a quello di uno psicologo il cui obiettivo principale è di ascoltare attentamente, facilitando il racconto. Tutte le testimonianze saranno classificate indicando nomi, date e luoghi, per cercare di ricostruire ogni storia in maniera completa, con la rappresentazione dei diversi punti di vista. In ogni conflitto infatti si hanno perlomeno due parti, e ...[continua]

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